martedì 12 ottobre 2010

IL PD SENZA VOCAZIONE MAGGIORITARIA

da Ragionpolitica.it del 12 ottobre 2010

Al di là della guerra personale tra Massimo D'Alema e Walter Veltroni, specchio delle lotte intestine che da sempre caratterizzano la storia della sinistra italiana, vi è un dato politico di prim'ordine sul quale è necessario riflettere per comprendere l'attuale stato delle cose nel Partito Democratico. Con l'ascesa alla segreteria di Pier Luigi Bersani e la contestuale archiviazione di quella «vocazione maggioritaria» che era stata indicata dall'ex sindaco di Roma, nel suo ormai celebre discorso del Lingotto, come prospettiva strategica essenziale del nuovo soggetto politico, il Pd si trova oggi in un ginepraio che lo costringe ad inseguire all'un tempo i centristi di Pier Ferdinando Casini e di Francesco Rutelli, la sinistra di Nichi Vendola, l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Si tratta, con ogni evidenza, di partiti che esprimono visioni politiche inconciliabili tra loro su temi decisivi dell'agenda di governo, come l'economia, la giustizia, la politica estera, solo per citarne alcuni tra i più rilevanti. Ciò obbliga di fatto il Pd a mantenere una posizione incerta ed ondivaga, attenta a non creare strappi con alcuno dei potenziali alleati che Bersani intende coinvolgere in vista delle prossime elezioni politiche (esemplare, in tal senso, è la frenata di questi giorni del vertice del partito dopo le aperture di Piero Fassino riguardo alla necessità di armare gli aerei italiani impegnati in Afghanistan al fine di garantire maggiore sicurezza al nostro contingente).


Il risultato di questa scelta operata dall'attuale segretario è sotto gli occhi di tutti, ed è confermata senza tema di smentita dai sondaggi effettuati nelle ultime settimane dai principali istituti demoscopici: il Pd cala, mentre gli altri partiti o rimangono stabili oppure, nella maggior parte dei casi, aumentano i loro consensi. Ciò è la conseguenza inevitabile della decisione di Bersani di gettare a mare la strategia veltroniana, tendente a dare vita ad un bipolarismo forte fondato su due partiti di governo solidi e a dimensione nazionale, e di tornare di fatto al vecchio sistema di alleanze onnicomprensive che ha caratterizzato il centrosinistra italiano negli ultimi sedici anni. In particolare, come ha osservato Fabio Martini in un bell'articolo su La Stampa del 12 ottobre, si assiste ad un significativo rafforzamento, nelle intenzioni di voto, della sinistra radicale: il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo viene dato dall'Ipsos al 3,8%, Rifondazione Comunista e i Comunisti Italiani, oggi raggruppati in un'unica lista, ondeggiano tra il 2 e il 2,5%, Sinistra e Libertà di Nichi Vendola è salita al 5%, mentre l'Italia dei Valori si attesta sul 7,5%. In totale, si tratta di un'area che potrebbe raccogliere (il condizionale è d'obbligo, visto che allo stato attuale delle cose ci si muove ancora nel campo del voto d'opinione) quasi il 20% dei consensi degli italiani. Solo due anni fa, alle elezioni politiche del 2008, con Veltroni regnante, la sinistra radicale capitanata da Fausto Bertinotti si era fermata a quota 3,1% (con l'Idv allora alleata del Pd). Sempre in quell'occasione, il Partito Democratico raggiunse il 33%, mentre oggi viene dato sotto quota 25%.


La risposta di Bersani a questa allarmante situazione è, o almeno sembra essere, soltanto l'offerta di alleanza a questo o a quel partito di centro o di sinistra, al sol fine di fare numero e creare una massa critica da contrapporre al centrodestra alle prossime elezioni. Pur affermando un giorno sì e l'altro pure che egli non è intenzionato a rimettere in pista la formula dell'Unione prodiana, il segretario del Pd si muove di fatto lungo questa direttrice che privilegia l'alchimia politica rispetto alla definizione di un programma di governo chiaro e distinto, attorno al quale aggregare poi, in un secondo tempo, chi in esso si riconosce senza se e senza ma. Inoltre è evidente, seguendo la logica che sembra ispirare Bersani, che l'unico collante capace di tenere insieme forze tanto diverse e distanti tra loro può essere, ancora una volta, solo e soltanto il mai tramontato antiberlusconismo. Che cosa infatti può unire oggi il Pd, Vendola, Di Pietro e l'Udc? La risposta è scontata, e conferma che la tanto deprecata (a parole) Unione è poi (in concreto) la stella polare che guida l'azione del segretario democratico. Almeno Veltroni era riuscito a suscitare la speranza di una novità nel centrosinistra, mentre ora l'impressione è quella di assistere ad un film già visto, ad un indigesto remake di seconda mano di fronte al quale la figura dell'ex sindaco di Roma giganteggia non soltanto per risultati ottenuti, ma anche per coraggio e visione politica. E con ciò è detto tutto.

Gianteo Bordero

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