da Ragionpolitica.it del 5 maggio 2010
A diciotto anni di distanza da Tangentopoli e dal conseguente azzeramento dei partiti democratici che avevano governato il paese nel corso della Prima Repubblica, il circo mediatico-giudiziario sembra ancora essere titolare, purtroppo, di un ampio potere di veto sulla vita politica italiana. Il caso Scajola è, da questo punto di vista, emblematico: un ministro che si dimette senza neppure essere indagato, in seguito a una fragorosa campagna di stampa resa possibile dalla diffusione di atti coperti dal segreto istruttorio e filtrati chissà come dagli uffici giudiziari. Se ai tempi di Mani Pulite bastava l'avviso di garanzia per essere segnati col marchio dell'infamia e squalificati dal novero degli appartenenti alla società civile, oggi sono sufficienti il sospetto, come negli anni bui del Terrore giacobino, e qualche titolone dei soliti giornali degli «onesti» e dei «benpensanti». E' un passo in avanti verso la morte dello stato di diritto, cioè del fondamento di ogni autentica democrazia.
Così vengono sistematicamente calpestati non soltanto importanti principi costituzionali come quello della presunzione di non colpevolezza fino a prova contraria e a sentenza definitiva, ma anche la dignità stessa delle persone che, di volta in volta, finiscono nel tritacarne: messe alla pubblica gogna e distrutte mediaticamente prima ancora di essere giudicate da un tribunale, non saranno mai più risarcite in caso di assoluzione, se non con qualche titoletto nelle brevi di cronaca giudiziaria a pagina 24. E' inutile girarci troppo attorno, perché la verità è che tornano alla mente tempi bui che credevano di esserci lasciati definitivamente alle spalle con il '92-'93, quando una cieca furia giustizialista, abilmente fomentata da mass media e magistrati d'assalto, impedì di vedere quello che realmente stava accadendo nel nostro paese. Certo, la corruzione c'era e i corrotti andavano colpiti. Ma quello che venne portato lucidamente avanti fu, in ultima analisi, un disegno di messa in mora della politica e del suo primato rispetto ai poteri non eletti - un'operazione con aspetti per certi versi ancora oscuri per ciò che attiene l'individuazione dei soggetti che, in quel frangente, erano interessati a un commissariamento de facto di un sistema che sembrava non in grado di gestire la delicata fase del post guerra fredda e della conseguente fine della divisione del mondo in blocchi e sfere d'influenza.
Oggi, come è stato detto più volte, non c'è una nuova Tangentopoli, perché non c'è più un sistema organico di finanziamento illecito ai partiti, ora sovvenzionati con soldi pubblici sotto forma di rimborsi elettorali. Nonostante ciò, si ha non di rado l'impressione che in certa magistratura, sempre adeguatamente supportata dai media amici, sia ancora viva l'aspirazione a determinare, rovesciandole, le sorti della politica italiana, tanto più quando è al governo Berlusconi. Cioè colui che, con la sua discesa in campo prima e con le sue ripetute vittorie elettorali poi, ha saputo, grazie alla sua leadership carismatica, dare una nuova e credibile rappresentanza a quell'elettorato moderato orfano dei partiti spazzati via dallo tsunami di Mani Pulite.
In questo quadro ha ragione il coordinatore del Popolo della Libertà e ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, quando, commentando la notizia secondo cui il suo collega alla guida del partito Denis Verdini sarebbe indagato nell'ambito di un'indagine della Procura di Roma, afferma che «c'è qualcosa di poco chiaro e di allarmante in questa nuova ondata di inchieste a carico di esponenti del nostro movimento» e rileva «un orientamento che appare rivolto unicamente nei confronti dei rappresentanti di una determinata parte politica». In questi giorni, infatti, si respira nuovamente un'aria mefitica, inquinata dai veleni, dai sospetti, dalle condanne preventive. Il tutto col chiaro scopo di bloccare l'azione del governo e di mandare all'aria la maggioranza uscita dalle urne nel 2008 e confermata dagli italiani in tutte le tornate elettorali degli ultimi due anni. Non si tratta di fare dell'allarmismo, ma di chiamare le cose col loro nome senza ipocrisia, portando avanti coraggiosamente e senza titubanze i provvedimenti finalizzati a ristabilire quell'equilibrio tra i poteri sancito dalla Costituzione del '48 e venuto meno sotto i colpi del giustizialismo nei primi anni Novanta, quando si affermò l'idea secondo cui i rappresentanti eletti dal popolo sono mascalzoni a prescindere e la magistratura è chiamata a riportare la moralità in una «casta» di ladri, di corrotti e di malviventi.
Gianteo Bordero
mercoledì 5 maggio 2010
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