lunedì 17 maggio 2010

«REPUBBLICA» CONFONDE FEDE E CONSENSO

da Ragionpolitica.it del 17 maggio 2010

Gongola La Repubblica, che lunedì titola in prima pagina: «Se declina la fede nella Chiesa». Articolo di commento affidato al sociologo Ilvo Diamanti, che illustra i risultati di un sondaggio condotto da Demos nella settimana tra il 14 e il 21 aprile. Secondo la rilevazione pubblicata dal quotidiano diretto da Ezio Mauro, la fiducia degli italiani nei confronti della Chiesa e del Papa sarebbe calata, nell'ultimo anno, rispettivamente del 3,2 e del 7%, attestandosi oggi nel primo caso al 47,2%, e nel secondo al 46,6%. Un declino che - aggiunge Diamanti - «peraltro dura da anni». Infatti, «rispetto al 2005 (quando è stato eletto Ratzinger) la fiducia nella Chiesa è scesa di 14 punti. Mentre negli ultimi due anni il consenso verso Benedetto XVI si è ridotto di 9 punti percentuali». Evidenti, secondo il sociologo, le cause di questo sensibile calo: oltre allo «scandalo pedofilia» che ha investito il clero negli ultimi mesi, oltre alla «vicenda Boffo» dello scorso settembre, sulla Catholica e sul Pontefice peserebbe anche il dopo-Wojtyla, «il cui credito, nel 2003, era superiore di circa 30 punti» rispetto a quello del suo successore.


Ora, tralasciando il fatto che il sondaggio, come detto poc'anzi, è stato condotto un mese fa e che negli ultimi 30 giorni Benedetto XVI ha ricevuto almeno quattro forti e chiare attestazioni di stima e fiducia da parte del popolo cattolico (a Malta, a Torino, in Portogallo e da ultimo domenica in Piazza San Pietro, in occasione della giornata organizzata dalla Cei e dai movimenti ecclesiali), a lasciare perplessi è soprattutto la grossolana giustapposizione tra fede e consenso che, di fatto, viene messa in campo da La Repubblica: quasi che la prima fosse direttamente proporzionale al secondo. Non è soltanto la storia della Chiesa a smentire questa tesi, ma anche la stessa natura del cristianesimo. Per quanto riguarda il primo punto, anche uno studente alle prime armi sa che, in molti frangenti del suo cammino, la Chiesa è stata un «piccolo gregge» tanto osteggiato dal mondo quanto ricco - e persino straripante - di eroiche testimonianze di santità e di fede indistruttibile. Per quanto riguarda il secondo punto, sono gli stessi Vangeli a suggerire una lettura del fatto cristiano come radicalmente altro dalla mentalità del «secolo», come portatore di un orizzonte di significato che il mondo non può dare. Non si ricordano momenti nei quali Gesù abbia invitato i suoi discepoli a cercare il «consenso», anzi: egli ha detto a chiare lettere ai suoi amici che la fede in Lui sarebbe stata causa di persecuzioni, di offese, di derisione. E la storia è lì a dimostrarlo, checché ne dica La Repubblica.


Misurare la fede sulla base della fiducia «statistica», e giudicare la Chiesa usando gli stessi strumenti adoperati per rilevare il gradimento dei partiti, dei leader politici, delle alte cariche dello Stato e delle altre istituzioni, è dunque un clamoroso errore. La fede, infatti, è altro dal consenso, e la Chiesa è altro dalle strutture di potere mondane. Credere in Gesù non è lo stesso che dare il proprio voto ad un partito, e aderire alla Chiesa non è come iscriversi ad un club o ad un'associazione culturale. Nella fede e nella Chiesa vi è un elemento che trascende le categorie sociologiche, un dato che può essere colto soltanto se si allarga il proprio sguardo a ciò che va oltre le moderne scienze sociali e oltre la moderna idea di ragione come «misura» di tutte le cose. Pensare di ingabbiare in un sondaggio demoscopico realtà che per loro stessa definizione non si fondano sul numero e sulla massa, ma sul mistero dell'anima personale che si apre all'eterno che entra nel tempo, è come - per riprendere le parole del poeta ungherese Attila Jozsef - «coprire con un tetto di tegole una torre aperta all'infinito».


Ancora un esempio tratto dalla storia può servire a chiarire ulteriormente la questione. Quando Gesù viene catturato, processato e poi crocifisso, che fine aveva fatto tutto quello che oggi chiameremmo «consenso delle masse»? Che fine avevano fatto quelle folle che si erano radunate ad ascoltarlo, che lo avevano visto operare miracoli, che lo avevano acclamato come loro re al momento del suo ingresso in Gerusalemme? Scomparse. E non è forse vero che è ancora la folla a chiedere la liberazione di Barabba durante il processo? E che dire degli ultimi istanti della vita di Cristo? Scrive il Vangelo: «Stavano sotto la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala», oltre al «discepolo che egli amava». Dunque, nel silenzio del Golgota, al culmine dell'esperienza terrena di Cristo, non ci sono le masse. Non c'è il consenso. Eppure è proprio in quel silenzio e davanti a quelle poche persone che si compiono due atti decisivi, senza i quali non è possibile comprendere né la Chiesa né la fede cristiana. Primo: Gesù che affida Sua madre, la Vergine Maria, a San Giovanni, consacrando così a Lei la Chiesa nascente. Secondo: la professione di fede del Centurione, che, vedendo il Nazareno spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!». Qui, e non nei numeri dei sondaggi di Repubblica, sta tutta la misteriosa forza del cristianesimo e della Chiesa.

Gianteo Bordero

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