da Ragionpolitica.it del 24 maggio 2010
C'è un pensiero ricorrente nelle meditazioni di Benedetto XVI sul tema della politica, della democrazia e del rapporto tra questa e i «valori». Un pensiero che il Papa ha esplicitato, da ultimo, nel suo intervento dello scorso venerdì all'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i laici: nei tempi attuali - ha detto - «il diffondersi di un confuso relativismo culturale e di un individualismo utilitaristico ed edonista indebolisce la democrazia e favorisce il dominio dei poteri forti».
Per approfondire il significato di questa affermazione può essere utile riprendere quanto l'allora cardinale Ratzinger scrisse in un articolo intitolato «Il significato dei valori religiosi e morali nella società pluralistica», pubblicato nel 1992 dalla rivista cattolica internazionale Communio. E' interessante, ai fini del nostro discorso, soprattutto la prima parte del testo, quella in cui l'ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede tenta di rovesciare uno dei luoghi comuni della moderna filosofia politica: quello secondo cui il relativismo è un presupposto necessario della democrazia. Una convinzione, questa, che ha preso sempre più campo dopo il crollo dei sistemi totalitari novecenteschi, dopo la fine delle utopie trasformatesi in tragedie per l'umanità, dopo che le grandi narrazioni ideologiche del secolo ventesimo si sono rivelate incapaci di fondare sistemi politici in cui fosse davvero garantita la libertà dell'individuo.
Qui - si badi - non è in alcun modo in discussione la bontà della democrazia in luogo delle dittature e di regimi oppressivi, bensì il corollario secondo il quale la democrazia, per essere veramente tale, deve rinunciare ad ogni discorso sulla verità, in quanto ogni affermazione veritativa assoluta rappresenterebbe per ciò stesso un pericoloso scivolamento verso la tirannia e un intralcio al dispiegamento della libertà individuale. Certo - scrive Ratzinger - è inevitabile che nelle moderne democrazie esista una «certa tensione» tra libertà e verità, ma pensare di risolvere il problema cancellando uno dei termini in gioco non è certo il modo più saggio di procedere. Dice il relativista: se la verità esiste, ognuno ha la sua, che ha il medesimo valore di quella dell'altro. Quindi, affermarne o riconoscerne una in particolare sarebbe ipso facto un atto di violenza. La questione, fatta uscire così dalla porta, rientra però prepotentemente dalla finestra ogni volta che le istituzioni democratiche si trovano a dover fare i conti con la necessità di legiferare su materie nelle quali più si fa sentire lo scontro tra differenti visioni della vita e dei valori presenti nella società. E qui ripetere il solito ritornello relativista non basta, anzi potrebbe essere controproducente.
E allora, guardando meglio, «bisogna chiedersi se anche nella democrazia non debba esistere un nucleo non relativistico». Ad esempio: i diritti umani inviolabili. Non è forse vero che la democrazia «è costruita intorno ad essi»? E «non è proprio la loro protezione il motivo più profondo per cui la democrazia appare necessaria?». Se la risposta che viene data a tale quesito è affermativa, come lo dovrebbe essere secondo gli stessi presupposti della democrazia, allora diventa evidente che esiste almeno un grumo di verità che non soggiace al comandamento relativista. Esiste cioè «un patrimonio fondamentale di verità» che «appare irrinunciabile proprio per la democrazia». Non soltanto nel senso che esso sta a fondamento della democrazia, ma anche che proprio tale nucleo non relativistico può rappresentare - rappresenta - il miglior antidoto di fronte a quella che in molti hanno chiamato «dittatura della maggioranza», e cioè la pretesa di chi detiene legittimamente il potere di stabilire lui che cosa è vero e che cosa è bene per i cittadini. Solo se esiste un elemento di verità che trascende il gioco di maggioranza e opposizione, che va oltre l'alternarsi di schieramenti al governo di uno Stato, la democrazia può veramente essere tale e non degradare in tirannide.
Come si vede, non è dunque il riconoscimento di una verità meta-politica a mettere in pericolo la democrazia, ma è proprio quel relativismo che, divenendo assoluto contro le sue stesse premesse, pone le basi per una deriva anti-democratica, in cui i «poteri forti» non trovano dinanzi a sé alcun serio argine alle loro pretese di dominio. Un dominio che, giocando in maniera più o meno palese la sua partita a livello delle coscienze e degli stili di vita, può avvenire formalmente nel rispetto delle regole della democrazia, ma sostanzialmente può ridurre tali regole a simulacri di libertà.
Divengono più chiare, così, anche le parole pronunciate da Benedetto XVI il 22 maggio, durante un convegno promosso dalla Fondazione «Centesimus Annus - Pro Pontifice»: «La politica deve avere il primato sulla finanza e l'etica deve orientare ogni attività».
Gianteo Bordero
lunedì 24 maggio 2010
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