martedì 10 febbraio 2009

SENZ'ACQUA E SENZA CAREZZE. LA MORTE DI ELUANA

da Ragionpolitica.it del 10 febbraio 2009

Ogni giorno acqua, luce e carezze. Per 14 degli ultimi 17 anni l'esistenza di Eluana Englaro, anche grazie alla dedizione generosa delle Suore Misericordine (nomen omen) di Lecco, è andata avanti poggiando su questi tre sostegni, ciascuno a suo modo vitale: il nutrimento fisico, il calore della realtà, l'affetto delle persone. Per 14 anni Eluana ha vissuto così: mangiando e bevendo (con l'aiuto del sondino, anche se mai ha perso la capacità di deglutire); uscendo, spinta in carrozzella, per la passeggiata in giardino; ricevendo le attenzioni che una donna nel fiore dei suoi anni meritava di ricevere. Per 14 anni la vita di Eluana è dipesa, nella discrezione accogliente della casa di cura «Beato Luigi Talamoni», da questi quasi impercettibili gesti d'amore, piccoli all'apparenza ma grandi nella loro concreta affermazione della bontà dell'esistenza. Per 14 anni Eluana, in stato vegetativo persistente, è stata amata, accolta, accudita come la più degna delle persone, perché è proprio laddove la vita fisica appare più debole, bisognosa e menomata che emerge potente il suo valore incalcolabile. Per 14 anni è stata celebrata ogni giorno, per Eluana, la festa della vita, perché chi apre gli occhi, respira, mangia, beve, tossisce, dorme, è vivo e come tale va trattato. Per 14 anni la stanza e il letto e il cuscino di Eluana, e tutto ciò che attorno ad essi si è svolto, sono stati la vittoria della vita sulla morte.

Anche quando qualcuno ha pensato che quella non fosse più un'esistenza degna; anche quando qualcuno ha iniziato a dire che la vita di Eluana era finita la sera ormai lontana del 18 gennaio 1992; anche quando qualche avvocato senza scrupoli ha cercato in tutti i modi di infilarsi tra le maglie della legge per arrivare ad ottenere una sentenza di morte; anche quando la donna Eluana è divenuta il «caso Eluana», tanto nelle aule di tribunale quanto nei salotti della tv e nelle pagine dei giornali; anche quando gli avvoltoi dei «nuovi diritti» si sono scagliati su Eluana trasformandola, suo malgrado, nella leva per forzare la porta sbarrata dell'eutanasia; anche quando, per meglio supportare la battaglia per la «dolce morte», su Eluana sono state dette e scritte e ripetute a ogni piè sospinto cose non vere sul suo stato effettivo; anche quando la propaganda potente e strafottente dei dotti, dei sapienti e dei vati del pensiero dominante ha preso campo sul racconto realistico dei fatti; anche quando l'ideologia ha cancellato l'Eluana in carne ed ossa per renderci un'Eluana dipinta ad uso e consumo del nichilismo a la page.

Poi sono venute le sentenze, anzi la sentenza, l'unica che in dieci anni abbia detto sì alla «richiesta» di papà Beppino. L'inizio della fine. La condanna a morte. E poi la ricerca della «struttura», non più una casa dolce, sicura e accogliente, ma un freddo spazio di «attuazione del protocollo». E poi la notte del viaggio che ha portato via Eluana dal suo mondo, cioè dall'acqua, dalla luce e dalle carezze. Da Lecco a Udine. Dalle Misericordine alla «Quiete». Dalla casa della vita alla casa della morte. E poi il professor Amato De Monte, anestesista, che fa il viaggio in ambulanza, rimane sconvolto perché forse capisce che Eluana non è un «sacco di patate», come qualcuno l'aveva descritta, e che soffrirà, eppure davanti alle telecamere, per rassicurare innanzitutto se stesso, dichiara: «E' morta 17 anni fa». E poi il presidente della Repubblica che non firma il decreto sacrosanto e coraggioso del governo per salvare la vita di Eluana. E poi gli ultimi giorni. Niente più acqua né cibo. Niente più sole del giardino. Niente più coccole e tenerezze delle suore. E poi l'ultimo, disperato tentativo del presidente del Consiglio e del ministro Sacconi, la corsa contro il tempo per approvare il disegno di legge.

E poi la notizia che arriva, fredda come una lama. Una riga d'agenzia: Eluana è morta. Se n'è andata prima del previsto, dicono. Al capezzale non c'era papà Beppino, non c'era la mamma Saturna. Non c'erano le Misericordine. Non c'era l'affetto, ma solo l'effetto tragico e crudele del «protocollo» di morte. La sentenza è eseguita. Summus ius, summa iniuria. Più che il diritto di morte, è la morte del diritto.

Così ieri sera, per la prima volta dopo 14 anni, Eluana non si è addormentata tra le carezze piene di bellezza e di verità delle suore. Per tanti di coloro che hanno voluto e cercato e combattuto per arrivare a questo punto, è la fine di tutto (nichilismo chiama nichilismo). Per quelli che hanno tenuto accesa una luce nelle loro case e nelle strade in segno di speranza, piccole fiammelle di un'Italia che ama e rispetta e difende la vita, è l'inizio di un nuovo cammino e di una nuova tenerezza. Come ha detto l'«ateo laico molto imprudente» (così s'è definito lui) Enzo Jannacci al Corriere della Sera qualche giorno fa: «Interrompere una vita è allucinante e bestiale. Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza». E' questa carezza che da ieri sera custodisce Eluana. La cinica cattiveria degli uomini ha infierito abbastanza su di lei.

Gianteo Bordero

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