da Ragionpolitica.it del 21 febbraio 2009
Pd «balcanizzato»? Magari fosse solo così. Perché a leggere le cronache di questi giorni, che tentano di descrivere i posizionamenti e riposizionamenti delle varie correnti e sottocorrenti in vista del congresso che eleggerà il nuovo segretario, viene il mal di testa. Veltroniani, dalemiani, rutelliani, bindiani, prodiani, lettiani, popolari, radicali... (Peppino Caldarola, su Il Giornale, è arrivato a contarne 12 di queste correnti), tutti in cerca di visibilità, di alleati con i quali fare cordata, di numeri per pesare di più nei futuri assetti del partito. E il toto-segretario che impazza: Franceschini, Bersani, Letta, Bindi, Parisi, Renzi, persino Ignazio Marino. Ognuno avanza il suo nome, quando non la sua candidatura. Ormai il recinto è aperto e i buoi del proverbio sono in libera uscita. Del resto, caduto Walter è venuta meno anche l'orbita gravitazionale che era riuscita a tenere insieme, anche se per poco più di un anno, personaggi e idee tanto diversi tra loro. Ora la galassia Pd è rappresentata dai giornali come un puzzle di difficile ricomposizione, con mille pezzi che è difficile far collimare: puoi metterne insieme due o tre, ma magari al quarto ti accorgi che è tutto da rifare e che il disegno finale è ancora di là da venire.
Del resto, anche la fisica ha le sue leggi, e non è possibile costringere quattro elefanti in una Cinquecento, a meno che non si dia credito alla barzelletta che consiglia di sistemarne due davanti e due dietro. E in fondo è questo quello che è stato fatto con la fondazione del Pd: inserire in un unico contenitore delle tradizioni politiche, dei valori, dei programmi, delle storie, delle idee difficilmente conciliabili. E' l'«amalgama mal riuscito» di cui ha parlato qualche tempo fa Massimo D'Alema. Ma non poteva essere altrimenti: se tu prendi Paola Binetti e provi a farla andare d'accordo con Ignazio Marino non avrai arricchito il tuo partito, ma ne avrai azzerato il dinamismo; se a una forza ne contrapponi un'altra uguale e contraria il risultato non sarà il movimento, ma lo stallo. Lo stesso nel quale si sono arrovellati il Partito Democratico e il suo segretario dimissionario da un anno a questa parte. Se Veltroni dialogava con Berlusconi, ecco arrivare il nostalgico di turno che lo richiamava all'ordine di scuderia dell'antiberlusconismo hard; se Walter picchiava duro sul presidente del Consiglio, ecco arrivare il riformista che gli intimava di adottare una strategia più aperta al confronto. Alla fine, l'esito di questa politica è stato uno soltanto: il nulla. Azioni e iniziative che si azzeravano a vicenda. Il ma-anche del leader dimissionario, tradotto in cifra, è uguale a zero.
E' all'interno di questo trionfo del nullismo politico che bisogna leggere la folle corsa alla leadership che si scatenerà, che si è già scatenata. Tutti sanno che il Pd come progetto di ampio respiro e di medio-lungo termine non decollerà mai, che è destinato a rimanere a terra in quanto a forza politica e a gradimento popolare. Ma è proprio per questa debolezza dell'insieme che le parti possono pensare unicamente alla propria sopravvivenza in quanto tali, cioè in quanto frammenti di un disegno impossibile a realizzarsi. Salvo sorprese, ciò a cui assisteremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi sarà il tentativo disperato di ciascun notabile, di ciascun capo corrente, di segnare il territorio di sua pertinenza, per poi, in forza della quantità di terreno e di voti controllati, federarsi con altri «feudatari» per formare una maggioranza in grado di tenere in mano l'involucro del partito.
Una confederazione di signorotti finalizzata a salvare il salvabile mentre il vento berlusconiano spira forte su tutta la Penisola. Ecco cosa resta e che cosa resterà del Pd se esso non si dissolverà anzitempo sotto la spinta delle forze centrifughe che si stanno manifestando dopo l'addio di Veltroni. E' veramente poco rispetto alle ambizioni, ai sogni, alla retorica, alla passione e all'entusiasmo dell'inizio. Ma, come si suol dire, oggi il convento non passa altro, se non questa lotta per la sopravvivenza di un ceto politico usurato dalla sua stessa storia e cosciente di essere destinato per molto tempo ancora a masticare amaro inseguendo un centrodestra che macina politica a tutto gas.
Gianteo Bordero
sabato 21 febbraio 2009
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