martedì 17 febbraio 2009

CROLLA IL MITO DI SORU

da Ragionpolitica.it del 17 febbraio 2009

Renato Soru aveva più volte elogiato, nel corso della campagna elettorale in vista delle regionali sarde, il «modello prodiano». Aveva benedetto le larghe alleanze a sinistra, raccogliendo attorno a sé il grosso dei partiti dell'ex Unione: il Partito Democratico, l'Italia dei Valori, Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani. E aveva fatto intendere che, in caso di vittoria, la formula sarda avrebbe potuto essere riproposta anche a livello romano, in contrapposizione alla strategia veltroniana della «vocazione maggioritaria». Così il fondatore di Tiscali ha giocato la sua partita contemporaneamente su due terreni: quello locale e quello nazionale. Ha di fatto rappresentato il suo impegno sardista come un trampolino di lancio per un nuovo tipo di leadership del centrosinistra italiano. Ma l'incoronazione non c'è stata e il sogno della campagna elettorale si è trasformato nell'incubo di un risveglio che più duro di così era difficile immaginare.

La sconfitta di Soru è una sconfitta su tutta la linea, non soltanto perché sono colati a picco i partiti di centrosinistra (in special modo il Pd, che è passato dal 36,2% delle politiche al 24,4%), ma soprattutto perché egli stesso ha subìto una cocente batosta nelle preferenze riguardanti il candidato presidente. Il meccanismo del voto disgiunto, infatti, avrebbe potuto (come del resto era già accaduto in Sardegna) consegnare il governo dell'isola a un presidente e ad una maggioranza consiliare non collegati tra loro. E probabilmente Soru molto puntava su questa possibilità: essa, se da un lato non gli avrebbe consentito di amministrare la sua Regione a causa della coabitazione con una maggioranza di centrodestra, dall'altro gli avrebbe però permesso di giocare agevolmente la sua figura di uomo carismatico, più forte dei partiti che hanno accettato di sostenerlo, ad un livello ben più importante di quello sardo.

Ma neanche questa consolazione è toccata in sorte al presidente uscente: sebbene egli abbia ottenuto 4 punti percentuali in più rispetto alla coalizione di centrosinistra (42,9% come candidato governatore a fronte del 38,6% di voti alle liste dei partiti alleati), ha visto il suo avversario Ugo Cappellacci attestarsi sul 51,9% di preferenze come presidente, mentre il centrodestra ha raggiunto quota 56,7%. Rispetto alle elezioni regionali del 2004 Soru ha perduto il 7% dei consensi (allora si impose con il 50,2% dei voti contro il candidato della Cdl Mauro Pili, fermatosi al 40,5%). Così egli non ha neanche più tra le mani l'unica arma che avrebbe potuto usare per salvare il salvabile, assolvendo se stesso e scaricando sulla crisi dei partiti di centrosinistra tutte le responsabilità della sconfitta. Invece i numeri usciti dalle urne sarde parlano chiaro: c'è un giudizio negativo che riguarda sia Soru come governatore sia i partiti della coalizione in quanto tali. E di certo il presidente uscente non potrà tirarsi su d'animo per il fatto che la debacle più consistente è stata quella del Pd, il partito col quale era entrato in rotta di collisione negli ultimi tempi e che era stato all'origine della sua decisione di dimettersi e tornare al voto anticipatamente rispetto alla scadenza naturale della legislatura regionale.

Tirando le somme, alla fine dal voto sardo escono a pezzi sia Soru che il Partito Democratico: il primo vede andare in fumo sia il mito della sua buona amministrazione all'insegna dell'esaltazione della sardità sia le sue ambizioni di leadership nazionale ricalcata sul modello di Romano Prodi; il secondo si ritrova ancora una volta, dopo quanto accaduto in Abruzzo a inizio dicembre, a dover fare i conti con una crisi che sembra non conoscere termine, nella quale ogni strategia (tanto quella della «vocazione maggioritaria» quanto quella dell'allargamento dell'alleanza a ciò che resta della sinistra massimalista) pare destinata al fallimento, segno che il problema non sta nella scelta dei compagni di viaggio e forse neppure nella leadership veltroniana, ma più a fondo, nelle radici stesse del progetto del Partito Democratico in quanto tale. Un progetto che oggi, dopo il voto in Sardegna, può crollare da un momento all'altro.

Gianteo Bordero

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