da Ragionpolitica.it del 14 febbraio 2009
L'11 febbraio di ottant'anni fa, nel Palazzo del Laterano, a Roma, aveva luogo la firma di un Trattato e di un Concordato tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Il cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato vaticano, e Benito Mussolini, capo del governo italiano, sottoscrivevano quelli che oggi vengono comunemente chiamati «Patti lateranensi». Il Concordato, che sarebbe stato poi aggiornato e modificato 55 anni dopo (18 febbraio 1984) dal cardinale Agostino Casaroli e da Bettino Craxi con l'Accordo di Villa Madama, regolava i rapporti tra Stato e Chiesa e definiva le rispettive competenze nelle materie miste; il Trattato, invece, istituiva lo Stato della Città del Vaticano, chiudendo - come si legge nel documento - «la "Questione Romana" sorta nel 1870 con l'annessione di Roma al Regno d'Italia sotto la dinastia di Casa Savoia». L'articolo 3 del Trattato stabiliva quanto segue: «L'Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva e assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com'è attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tal modo la Città del Vaticano per gli speciali fini e con le modalità di cui al presente Trattato».
Negli stessi minuti in cui Gasparri e Mussolini si apprestavano ad apporre le loro firme in calce ai Patti, il Papa Pio XI, che fermamente aveva voluto quell'accordo, incontrava i parroci di Roma ed i predicatori del periodo quaresimale. Ad essi il pontefice rivolgeva un discorso che, nella sua parte riguardante il Trattato con l'Italia, merita di essere ripreso, perché contiene una chiara enunciazione delle ragioni che stanno alla base dell'esistenza stessa del Vaticano come Stato. Un'esistenza che, oggi come negli anni passati, è fortemente contestata dai sostenitori delle varie e malintese forme di pauperismo ecclesiastico e non, secondo i quali il fatto che la Chiesa cattolica abbia un suo Stato e un suo territorio rappresenta una violazione degli insegnamenti evangelici, un retaggio dei cosiddetti «secoli bui», un imbarazzante strascico della commistione tra potere temporale e potere spirituale. La lungimiranza del grande Papa Pio XI, invece, seppe andare oltre le mere contingenze, garantendo un presidio statuale e territoriale alla Santa Sede. Un presidio che si rivelò decisivo, nel corso dei restanti decenni del secolo XX, per poter consentire alla Chiesa di continuare a svolgere la sua missione spirituale e materiale senza essere assoggettata ai poteri totalitari.
Ebbene, rivolgendosi ai sacerdoti e ai predicatori, Papa Ratti spiegava che la nascita dello Stato della Città del Vaticano era necessaria perché «non si conosce nel mondo, almeno fino ad oggi, altra forma di sovranità vera e propria se non appunto territoriale». Ma questa sovranità non veniva intesa dal pontefice come uno strumento per avanzare pretese di carattere temporale, per riconquistare quello che era andato perduto dopo la breccia di Porta Pia e la nascita dello Stato italiano. Le preoccupazioni di Pio XI erano tutte rivolte ad assicurare alla Chiesa la possibilità di continuare a camminare libera nella storia: senza libertà non vi sarebbe stata neppure autorevolezza, perché una Chiesa totalmente incamerata in uno Stato avrebbe potuto facilmente subire i ricatti e le angherie del potere politico in carica, divenendo con ciò meno credibile anche dal punto di vista spirituale. Le Chiese di Stato, come mostra chiaramente la storia, non sono mai state presidio di vera e genuina libertà religiosa.
In questo senso, c'è un'espressione bellissima usata da Pio XI nella sua allocuzione, tanto più significativa in quanto riprende il Santo che nella vulgata ecclesialmente corretta rappresenta il pauperismo per eccellenza: Francesco D'Assisi. Egli «chiedeva quel tanto di corpo che bastava per tenere unita l'anima». Così il Papa Ratti riteneva opportuno chiedere «quel tanto di territorio materiale che è indispensabile per l'esercizio di un potere spirituale affidato ad uomini in beneficio di uomini». E aggiungeva: «Ci compiacciamo di vedere il materiale terreno ridotto a così minimi termini da potersi e doversi anche esso considerare spiritualizzato dall'immensa, sublime e veramente divina spiritualità che esso è destinato a sorreggere ed a servire». Farebbero bene, tutti coloro che dipingono i Papi pre-conciliari come sovrani retrogradi, assetati di potere temporale, rappresentanti di una Chiesa impresentabile e anti-moderna, a rileggersi queste parole, che fissano in modo indelebile un principio che tutti gli ultimi pontefici hanno ribadito: lo Stato della Città del Vaticano non è il luogo del potere temporale, ma il necessario presidio fisico della libertà della Chiesa. «Un piccolo territorio per una grande missione», come recita il titolo di un convegno organizzato in questi giorni dalla Santa Sede per ricordare gli ottant'anni dalla firma del Trattato.
Gianteo Bordero
Nessun commento:
Posta un commento