giovedì 26 febbraio 2009

NESSUNO SCANDALO SE IL GOVERNO LEGIFERA

da Ragionpolitica.it del 26 febbraio 2009

Ha suscitato allarme e scalpore, in buona parte dei media italiani, una notizia segnalata per primo dal Sole 24 Ore: 44 delle 45 leggi approvate nel corso dell'attuale legislatura sono di provenienza governativa, e, tra queste, 25 sono conversioni di decreti legge. Conclusione scontata e prevedibile: il parlamento sarebbe di fatto esautorato dei suoi poteri e, come ha scritto Beppe Del Colle su Famiglia Cristiana, «ridotto solo a notaio» delle decisioni governative. Ne segue, secondo questa lettura, che il sistema istituzionale italiano starebbe scivolando, giorno dopo giorno, verso una forma di «dittatura dell'esecutivo» a scapito della democrazia rappresentata dal parlamento.

In assenza di altri solidi argomenti da usare per contrastare e criticare l'alleanza di governo e il presidente del Consiglio, questo è ormai diventato un mantra ripetuto a ogni piè sospinto da editorialisti, commentatori e, inevitabilmente, rappresentanti dell'opposizione. Basti pensare al «giuramento sulla Costituzione» compiuto da Dario Franceschini il giorno successivo al suo insediamento alla guida del Pd: un atto simbolico per testimoniare fedeltà ai «sacri principi» che sarebbero messi in discussione dal centrodestra e dal suo leader. E' la solita tesi del Berlusconi eversore dei fondamenti costituzionali della Repubblica, del tiranno che calpesta le regole di base della vita istituzionale, del novello Mussolini che tratta il parlamento come «un'aula sorda e grigia». Così si pensa di riuscire a mobilitare il popolo a una nuova resistenza, a una nuova lotta contro la dittatura, a una nuova stagione di risveglio democratico et similia...

Per fortuna che qualcuno, ogni tanto, si prende la briga di mettere i punti sulle «i» e di smontare con la solida forza della ragione, corroborata dagli esempi della storia, i castelli di sabbia e di rabbia che i pasdaran dell'antiberlusconismo duro e puro costruiscono con tanta dedizione. Merita di essere ripreso, in tal senso, un articolo di Giorgio Oldoini pubblicato su Il Secolo XIX di martedì 24 febbraio. L'autore mette nero su bianco una lucida analisi dei rapporti tra parlamento e governo in un sistema di parlamentarismo moderno, ricorda che «l'esecutivo è l'anima della legislazione e, contrariamente alle vecchie teorie libresche, sotto il parlamentarismo moderno è il governo che "politicamente" legifera». L'esecutivo cioè, in quanto espressione della maggioranza parlamentare, ne esprime oggettivamente gli orientamenti politici trasformandoli in leggi, senza per questo privare le Camere della loro libertà di confronto, discussione, emendamento. Neanche nel caso della decretazione d'urgenza, visto che è poi proprio il parlamento che può, entro sessanta giorni, convertire o meno il decreto in legge.

Scrive ancora Oldoini: nel sistema parlamentare moderno «non v'è alcuna differenza, dal punto di vista politico, fra una legge proposta dal ministero e omologata in seguito dal parlamento e una norma legislativa preparata direttamente dal ministero. Entrambe le norme sono basate sul consenso della maggioranza, vale a dire sul suffragio universale». Qui il concetto fondamentale è proprio quello del «consenso della maggioranza», che garantisce in ogni caso la permanenza del principio democratico nel sistema parlamentare, anche quando esso si esprime, come sta accadendo oggi, con iniziative legislative provenienti dal governo o con decreti legge. E' l'idea della «maggioranza che governa», espressa qualche tempo fa da Gianni Baget Bozzo su queste pagine.

Per lungo tempo, in Italia, siamo stati abituati a pensare, anche a causa del timore che l'esperienza fascista potesse nuovamente fare capolino, che scopo del parlamento fosse quello di porre dei freni e dei limiti all'attività del governo, che compito principale delle Camere fosse mettere i bastoni tra le ruote all'esecutivo e, quando necessario, farlo capitolare con il voto di sfiducia. Invece di ritenere il governo espressione sostanziale della maggioranza parlamentare, e quindi dello stesso principio democratico che soprassiede alla composizione delle Camere, si è detto e scritto e trasformato in luogo comune il mantra per cui il parlamento è l'unico custode della democrazia, mentre il governo ne rappresenta una forma spuria. Il frutto di quest'idea lo abbiamo avuto sotto gli occhi per almeno due decenni abbondanti, quando essa è diventata un alibi per trasformare il parlamentarismo in assemblearismo, per mettere nel cassetto dei ricordi il concetto di maggioranza parlamentare a tutto vantaggio dei giochi delle segreterie di partito e delle loro correnti interne, per usare il governo non come strumento al servizio della democrazia ma come camera di compensazione delle beghe partitocratiche. E' a ciò che vogliono tornare, oggi, tutti quelli che gridano al regime e al fascismo perché finalmente esiste in Italia una vera «maggioranza che governa», servendosi degli strumenti che la Costituzione mette a disposizione, tra cui il decreto legge? Sono i governi balneari il loro modello?

Se veramente si vuole aprire un confronto serio e sereno su come migliorare il funzionamento delle nostre istituzioni (come dice a parole di voler fare la minoritaria sinistra riformista, ma non il reggente del Pd che giura sulla Costituzione sacra, inviolabile e immodificabile), occorre prima di tutto che ci si liberi dal pregiudizio sul ruolo del governo in un moderno sistema parlamentarista, comprendendo che quando si tessono le lodi dell'assemblearismo in stile tarda prima Repubblica non si fa un favore alla democrazia, ma se ne limitano le possibilità e se ne incrinano i presupposti, tra cui quello di dare espressione oggettiva alla volontà popolare, la quale si esprime oggi nel voto a partiti che sono anche programmi di governo. Come scrive ancora Oldoini, «l'esecutivo diventa sempre più il centro dell'attività della democrazia parlamentare. Tanto più in questo momento, in cui, per affrontare la crisi, sono necessari provvedimenti rapidi ed energici».


Gianteo Bordero

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