venerdì 26 settembre 2008

UNA CONTINUITA' DI FONDO

da Ragionpolitica.it del 25 settembre 2008

La lettura più superficiale e politicamente scontata delle ultime dichiarazioni pubbliche del presidente della Conferenza Episcopale italiana sarebbe questa: se la CEI di Ruini parteggiava fin troppo esplicitamente per il centrodestra, la CEI di Bagnasco si è spostata a sinistra e ora prende a cannonate non più i laicisti e mangiapreti della gauche, bensì i razzisti della droit. Ebbene, questa lettura, seppur in voga su molti quotidiani in questi ultimi giorni, fa acqua da tutte le parti. Perché è sbagliato innanzitutto il punto di partenza da cui essa muove per tirare le sue sgangherate conclusioni.

La Conferenza Episcopale italiana, da almeno 15 anni a questa parte, non ragiona più in termini di partiti e di schieramenti, ma avendo come stella polare in politica una presenza trasversale dei cattolici in grado di garantire una solida diga in difesa del bene comune e di quei «principi non negoziabili» quali la vita, la famiglia, l'educazione. Questa linea consente di mantenere ferma la possibilità di prese di posizione e interventi forti e inflessibili sui valori e, allo stesso tempo, di non «compromettersi» troppo con un particolare partito o gruppo di partiti. E' una linea che era già emersa con Giovanni Paolo II negli anni della crisi della Dc durante i Convegni ecclesiali della CEI, e che ora ha trovato la sua piena esplicitazione nel pontificato di Benedetto XVI: non si tratta di un disimpegno della Chiesa italiana dalle cose della politica, ma di un distacco dalle mutevoli vicende partitiche per mantenere una libertà di azione e di giudizio altrimenti non garantita dall'identificazione con una sola sigla.

Colui che ha trasformato in realtà questa prospettiva, checché ne dicano i suoi detrattori, è stato il cardinal Camillo Ruini, che l'ha spinta sino alle sue estreme conseguenze in occasione del referendum sulla procreazione assistita del giugno 2005. Allora il porporato si mise a capo del fronte dell'astensione, raccogliendo attorno a sé un ampio consenso di uomini politici, partiti, associazioni. Fu certamente un'opera politica tout court, un intervento diretto della Conferenza Episcopale di fronte a un fatto che avrebbe potuto aprire la strada, anche nel nostro paese, alla deriva eugenetica collegata alla mancanza di regole nella manipolazione dell'embrione. Il referendum fallì, il testo della legge 40 rimase quello approvato dal parlamento, il cardinale - lui, non i partiti - ne uscì come il vero vincitore della partita.

Da allora, con Papa Ratzinger da poco insediato sul soglio petrino, è iniziata ad apparire più chiara la linea dei «principi non negoziabili», si è creato un vasto network cattolico - e non solo - a supporto delle battaglie della Chiesa sulla difesa della vita dal concepimento al suo termine naturale, della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, della libertà di educazione. Battaglie certo culturali, antropologiche, ma pronte a divenire «politiche» nel momento in cui questi temi siano oggetto di intervento da parte del legislatore (si pensi al disegno di legge sui Dico proposto dal governo Prodi e, per venire all'attualità, alla questione del testamento biologico e del fine vita).

Lo stesso Benedetto XVI ha più volte apertamente elogiato questo modello di intervento politico della Chiesa. Lo ha fatto nei suoi documenti e nei suoi discorsi pubblici, come quelli tenuti in occasione del viaggio apostolico negli Stati Uniti d'America, dal 15 al 21 aprile scorso. Allora il Papa affermò che occorre «respingere la falsa dicotomia tra fede e vita politica, poiché, come ha affermato il Concilio Vaticano II, "nessuna attività umana, neanche nelle cose temporali, può essere sottratta al dominio di Dio"». Sullo sfondo rimane, come sempre, l'idea della necessità di rafforzare la presenza del cattolico nella società contemporanea in primis attraverso la conversione personale e la testimonianza nella vita quotidiana, poi nell'esperienza comunitaria ecclesiale, infine nell'agone della politica, della cultura, della scienza. La politica, insomma, non è mai il primo obiettivo della presenza cristiana nella società, ma una sua possibile conseguenza, uno degli sbocchi che essa può avere.

Su questa linea si muove anche il cardinal Bagnasco, che certamente ha un temperamento personale meno «politico» di quello del suo predecessore alla guida della CEI, ma che non per questo può essere ritenuto l'anti-Ruini. Le sue parole sulla necessità di una legge riguardante il fine vita, che molti media hanno confuso con la legittimazione del testamento biologico, nascono in realtà dalla stessa motivazione che aveva spinto Ruini, nel 2005, a promuovere l'astensione nel referendum sulla procreazione assistita difendendo la legge varata dal parlamento secondo la logica del «male minore». In questo caso, meglio una legge che regoli il delicato e drammatico momento della fine della vita «riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita» (che però «non avranno la necessità di specificare alcunché sul piano dell'alimentazione e dell'idratazione, universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale») piuttosto che il caos senza regole in cui è un magistrato a poter introdurre di fatto l'eutanasia in Italia.

Bagnasco non possiede certamente tutto l'appeal mediatico di Ruini, ma è proprio la lunga guida dell'ex cardinal vicario a rendere possibile, oggi, il discorso dell'arcivescovo di Genova sul fine vita (e a rendere possibile, sotto un altro aspetto, il richiamo al governo sulla questione dell'immigrazione). Insomma: se una buona legge verrà promulgata e la legalizzazione dell'eutanasia evitata, ancora una volta l'avrà vinta Ruini.

Gianteo Bordero

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