Nel suo incontro con il mondo della cultura francese, avvenuto a Parigi lo scorso venerdì presso il Collège des Bernardins, Benedetto XVI è tornato a parlare di un tema a lui molto caro: le origini della teologia occidentale e le radici della cultura europea. Due realtà indissolubilmente legate non soltanto dalla storia, ma anche dal comune orientamento nei confronti del sapere e della razionalità. Il punto in cui ciò appare chiaro, secondo il Papa, è costituito dall'esperienza del monachesimo occidentale. Come noto, è grazie ai monasteri se la gran parte dell'immenso tesoro rappresentato dalla cultura classica è giunta fino all'epoca moderna, attraverso una paziente opera di trascrizione e trasmissione di quei testi dai quali avrebbero tratto linfa vitale prima la teologia medievale e poi il pensiero umanistico. Eppure - ha affermato il Papa - scopo primario dei monaci non era, in prima battuta, quello di compiere un'operazione culturale: «Non era loro intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato». Che cosa li muoveva, dunque? Sta nella risposta a questa domanda la chiave per comprendere il legame tra teologia e cultura europea e per leggere ancora una volta sotto una nuova luce la questione della razionalità e del suo rapporto col fatto religioso.
A Ratisbona, nella tanto discussa lectio magistralis del 12 settembre 2006, Benedetto XVI aveva messo a tema «fede e ragione» ed aveva sostenuto la tesi secondo cui tra di esse esiste un legame talmente profondo che «non agire secondo ragione» è contrario persino «alla natura di Dio». Questa affermazione non è in primis un dato di fede, ma una conquista della stessa ragione, sulla base delle categorie fornite dal pensiero greco. Da qui Ratzinger aveva preso le mosse per un'analisi dei rapporti tra filosofia greca e cristianesimo, criticando le tre grandi ondate della dis-ellenizzazione del pensiero occidentale, avvenute con la Riforma, con la teologia liberale del XIX e XX secolo e, da ultimo, più di recente, col diffondersi dell'idea secondo cui «la sintesi con l'ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture». Tutto questo per arrivare a dire che, assieme alla dis-ellenizzazione, nell'epoca moderna si è avuto, in particolare col razionalismo scientista, un oggettivo restringimento dell'orizzonte conoscitivo della ragione, alla quale è stata di fatto preclusa la possibilità di attingere al senso ultimo e trascendente del reale, in nome di un'autolimitazione alla conoscenza del mero dato verificabile nell'esperimento. Da qui l'invito finale del Papa ad aprirsi «alla vastità della ragione», a non «rifiutarne la grandezza». Perché la vera razionalità non è quella che esclude dal suo campo d'indagine la fede, ma quella che ad essa si apre come propria, estrema possibilità di compimento.
Questo a Ratisbona. Ora, due anni dopo, a Parigi, Benedetto compie un altro passo e ci dice che ciò che ha storicamente fondato sia la teologia occidentale che il pensiero europeo non è stato un progetto culturale calato - per così dire - dall'alto, bensì un condiviso desiderio esistenziale di verità. Lo stesso che spinse i monaci a compiere la loro formidabile opera di trasmissione e commento dei testi antichi: «Quaerere Deum», cercare Dio. Ha detto il Papa: «Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa». Che c'entra, questo, con il lavoro culturale? C'entra, perché la ricerca di Dio non era un cammino «in un deserto senza strade», ma aveva come via maestra la Parola. Una via che «nei libri delle Sacre Scritture era aperta davanti agli uomini». Da qui il passaggio fondamentale: «La ricerca di Dio richiede quindi per intrinseca esigenza una cultura della parola». Per questo in ogni monastero erano presenti i libri, era presente la biblioteca: essa «indica le vie verso la parola». Conclusione del Papa: la cultura della parola (e quindi della sua interpretazione), che sarebbe poi stata alla base del sapere europeo così come è giunto fino a noi, si è sviluppata non come alternativa a Dio, ma partendo proprio dalla ricerca di Lui.
Il messaggio finale è che teologia e cultura europee potranno ritrovare forza, attrattiva e freschezza nella misura in cui saranno capaci di rimettersi in cammino, come i monaci, alla ricerca di Dio. Cioè alla ricerca della verità, del senso ultimo delle cose, di ciò che dà fondamento alla realtà. I tempi - ha detto Benedetto XVI a Parigi - sono certamente cambiati rispetto a quelli in cui ebbe a svilupparsi il monachesimo occidentale. Ma rimane, seppure il più delle volte nascosta, come se non avesse parole per esprimersi, la domanda su Dio: «Quaerere Deum - cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell'Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura».
Gianteo Bordero
1 commento:
Bell'articolo. Complimenti
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