La concessione del voto agli immigrati, dice il presidente del Consiglio mettendo i puntini sulle i dopo le dichiarazioni possibiliste del presidente della Camera, «non è all'ordine del giorno». Non è cioè nell'agenda del governo, come - del resto - non è neppure nel suo programma. Dichiarazione breve ma assai efficace, quella del premier. Con tutti i problemi legati alla sicurezza e all'immigrazione che il Berlusconi IV si trova a dover affrontare - e che, fino ad ora, ha affrontato egregiamente - ci mancava soltanto la stucchevole discussione sul diritto dei migranti a diventare elettori prima ancora che cittadini. No, grazie.
Il patto stipulato con gli italiani il 13 e 14 aprile non prevede scartamenti dal programma e, tanto meno, bonarie concessioni al politicamente corretto che già tanti danni ha fatto nel nostro paese, nelle nostre città. Al contrario - e l'azione di governo di questi quattro mesi lo dimostra - è necessario procedere speditamente e senza indugi oltre la cortina fumogena del politically correct, diradando le nebbie create da un'ideologia che negli ultimi lustri ha fatto del pensiero dominante in Italia una notte in cui tutte le vacche sono grigie e in cui ogni cosa si equivale. Il volto concreto di questo cedimento al politicamente corretto è la sinistra in tutte le sue declinazioni: assistenzialista, ambientalista, comunista, eccetera. Una sinistra che i cittadini, con il loro voto, hanno mandato senza appello all'opposizione o hanno spedito direttamente fuori dalle aule parlamentari assieme alle sue ideologie buoniste, multiculturaliste, arcobaleniste. Che bisogno c'è, dunque, di andare a dissotterrare ciò che la storia ha già sepolto e consegnato al passato? «Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti», dice il Vangelo. Ergo: lasciamo che i cadaveri politici seppelliscano le loro defunte ideologie. E così sia.
L'ordine del giorno del governo, come ha ricordato il premier, è un altro. E va in tutt'altra direzione. Al sentimento anti-Stato della sinistra il centrodestra risponde ridando allo Stato dignità, autorità e autorevolezza (Napoli docet); alla politica delle porte aperte e - conseguentemente - delle città insicure contrappone la politica delle porte sotto controllo e dell'Esercito al servizio della sicurezza dei cittadini; allo sfascio sessantottino della scuola oppone il ritorno alla disciplina, alla serietà, all'educazione; all'indulgenza verso l'assenteismo e i fannulloni dice «stop» e mette in campo la nuova parola d'ordine: meritocrazia.
Il Berlusconi IV ha scelto di essere e di presentarsi ai cittadini come la squadra che affronta le emergenze e risolve i problemi, differenziandosi dai suoi predecessori anche per la sobrietà della parola, evitando di alimentare sterili e inconcludenti dibattiti sul nulla, forieri di chiacchiericcio parapolitico ma vuoti di sostanza e di utilità. L'alternativa è il ritorno allo stile dell'Unione durante il governo Prodi: parole (e litigi) tante, fatti zero. Siccome l'indice di gradimento popolare di quella maggioranza e di quel governo è stato il più basso di tutta la nostra storia repubblicana, è chiaro che la strada da percorrere è quella opposta: parole (e litigi) pochi, fatti tanti. Questa è la via battuta finora dal centrodestra, ripagata sia dai risultati ottenuti sul campo che dall'apprezzamento degli italiani, la cui fiducia nei confronti dell'esecutivo è ancora salda e solida. Non v'è motivo, dunque, di cambiare rotta e di concedere spazio a ciò che, nell'esperienza di governo 2001-2006, ha rappresentato per l'allora Casa della Libertà motivo di divisione, incomprensione e, infine, di logoramento. Le parole che gli elettori hanno impresso col loro voto sull'agenda dell'esecutivo non sono quelle care a Veltroni, ma quelle di un programma che su immigrazione e cittadinanza parla una lingua diversa. Indietro non si torna.
Gianteo Bordero
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