da Ragionpolitica.it del 25 novembre 2010
Pur di abbattere il governo Berlusconi, il Partito Democratico è pronto a fare anche i proverbiali patti col diavolo. Non soltanto alleandosi con l'ex odiato e deprecato fascista Fini, ma anche assecondando la protesta studentesca che sta andando in scena in questi giorni nei modi e nelle forme che tutti hanno potuto e possono vedere. La logica democratica richiederebbe che un partito, per salire al governo del Paese, godesse della legittimazione popolare, che passasse attraverso libere elezioni ed ottenesse il consenso maggioritario dei cittadini. Peccato soltanto che ciò oggi risulti, per il Pd, un miraggio lontano come i Tartari del famoso romanzo di Dino Buzzati. E allora? E allora meglio ricorrere ai mezzi alternativi, ai metodi spicci, come ha fatto Bersani unendosi alla protesta degli studenti e salendo con loro sul tetto dell'università nella convinzione di alimentare un'onda di ribellione che, negli auspici dei Democratici, dovrebbe gonfiarsi fino a sommergere e a spazzare via come uno tsunami Berlusconi, il suo governo e la maggioranza che lo sostiene. Come ha osservato il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, il Pd - in compagnia del movimento estremista per eccellenza, l'Idv - «cavalca la protesta arrivando allo spettacolo grottesco di salire sui tetti, mentre c'è una componente eversiva di questa protesta che ieri ha preso d'assalto il Senato». Ed ha aggiunto, rivolto a Bersani e al suo partito: «Voi state lisciando il pelo a un movimento minoritario ed estremista che provocherà danni seri al Paese».
E' proprio così: in assenza di una proposta politica in grado di porsi come seria e credibile alternativa di governo, incapace di elaborare una piattaforma programmatica all'altezza delle sfide che l'Italia si trova a dover affrontare in questo complesso frangente storico, il Partito Democratico ha scelto ancora una volta la strada dell'estremismo, del peggior conservatorismo sociale, dell'anacronistica difesa di quei privilegi (nel campo della scuola, dell'università, del welfare, solo per citare alcuni casi macroscopici) che negli scorsi decenni hanno portato il nostro Paese ad accumulare debito pubblico, parassitismo, clientelismo e inefficienze varie, con le deleterie conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
Alla luce dell'atteggiamento tenuto da Bersani e dalla dirigenza democrat in questi giorni, è chiaro che la formula del Pd come «partito riformista», tanto evocata e ripetuta ad ogni piè sospinto a meri fini di propaganda, appare a conti fatti come un ossimoro. Il Pd non è il nuovo, non è la strada italiana alla moderna socialdemocrazia, ma è la somma di tutto ciò che è vecchio, dei privilegi acquisiti, dell'ipertrofia statalista. Esageriamo? Ma se il punto cardine della riforma universitaria della Gelmini è la meritocrazia, come altro definire il tipo di opposizione che sta portando avanti il Partito Democratico, se non come bieca conservazione dello status quo? E questo è solo l'ultimo episodio in ordine di tempo, perché se andiamo ad analizzare la risposta politica data nel corso degli anni dal Pd ai provvedimenti innovatori messi in campo dai governi Berlusconi, l'elenco potrebbe allungarsi a dismisura, a partire dalla pervicace e preconcetta ostilità alle riforme in materia di lavoro e di welfare ispirate alle proposte di Marco Biagi e realizzate grazie alla coraggiosa iniziativa di Maurizio Sacconi.
Insomma, gli anni passano ma i post-comunisti non cambiano mai: sempre arroccati in difesa dell'indifendibile, sempre schierati al fianco dei nemici del rinnovamento, sempre incapaci di rompere una volta per tutte con il loro passato che non vuole passare. D'Alema, Veltroni, Franceschini, Bersani sono, alla fine dei conti, le facce di una stessa medaglia, l'espressione di una medesima cultura - se così si può chiamare - ancora fondata sull'antagonismo e sull'odio preconcetto nei confronti dell'avversario. Addirittura con un'aggravante rispetto al Pci, che per lo meno manteneva un realistico (anche se opportunistico) senso delle istituzioni e sapeva prendere le distanze (ancorché nei modi e nei tempi tipici di un partito legato a doppio filo con l'Unione Sovietica) dai movimenti di lotta violenta. Cosa che il Pd oggi non sembra in grado di fare, preferendo invece scherzare col fuoco pur di cancellare dalla scena politica il nemico Silvio.
Gianteo Bordero
giovedì 25 novembre 2010
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