martedì 23 novembre 2010

BENEDETTO XVI, RIFORMATORE INCOMPRESO DALLA CULTURA DOMINANTE

da Ragionpolitica.it del 23 novembre 2010

Il clamore mediatico suscitato dalle anticipazioni del libro-intervista di Peter Seewald a Papa Ratzinger porta con sé la traccia, in molti casi, di un'interpretazione errata del pontificato di Benedetto XVI sin dai suoi inizi. Sul Papa è stato cioè applicato un giudizio superficiale e conformistico che ha impedito alla maggior parte dei media di cogliere il tratto distintivo all'un tempo della personalità di Ratzinger e del suo magistero petrino. Il «panzerkardinal», l'arcigno conservatore refrattario ad ogni tipo di confronto con le questioni poste dalla modernità, il nostalgico del passato e delle sue forme, il novello inquisitore, il freddo teologo tutto ripiegato sui suoi studi, il dottrinario indifferente ai problemi concreti dei cristiani in carne ed ossa: questo e molto altro ancora, sulla stessa lunghezza d'onda, è stato detto e scritto sull'attuale pontefice in questi ultimi anni. Ciò faceva comodo, del resto, a coloro che puntavano ad alimentare una vulgata politicamente e finanche ecclesialmente corretta, volta a dimostrare che era in corso il tentativo, ai massimi livelli della gerarchia, di destrutturare, quando non di cancellare tout court, le cosiddette «conquiste» raggiunte grazie al Vaticano II e all'affermazione, in ambito cattolico, di una teologia e di una pastorale finalmente al passo e all'altezza dei tempi moderni.


Chi ha portato avanti questa operazione non ha dunque saputo cogliere il vero Ratzinger, quello reale e storico e non quello banalizzato e caricaturale presentato ad ogni piè sospinto da giornali e tv. Non ha saputo leggere, ascoltare, approfondire le sue parole e i suoi gesti. Non ha voluto afferrare il filo conduttore di tutto il suo pontificato. Che non è la bieca volontà di tornare al bel tempo che fu, di azzerare il Concilio, di mortificare i «progressisti» e via strologando. No, quello di Benedetto XVI è stato sin dal principio, come abbiamo detto più volte, un papato tutto orientato alla riforma spirituale della Chiesa. Una riforma che non è cambiamento in primis di strutture, di burocrazie vaticane, di strategie pastorali, bensì richiamo costante alla conversione, alla vera fede, al nocciolo dell'esperienza cristiana. Una riforma che, come Ratzinger stesso ha ribadito in più di una occasione, si ottiene innanzitutto non per aggiunta di qualche cosa all'immutabile depositum fidei, ma per sottrazione di ciò che, nel corso del tempo, ha in qualche modo appesantito il cammino della Chiesa nella storia.


Ciò che conta prima di tutto, per Benedetto, è cioè la qualità spirituale dei credenti, la riscoperta del cuore della fede cristiana e l'adesione ad esso. In questa prospettiva è la fede che fonda la morale, è il sì dell'uomo a Cristo che fonda un nuovo modo di vivere. Queste cose Ratzinger le diceva già da cardinale, quando ricordava che il cristianesimo non è in primo luogo una «dottrina che si può ripetere in una scuola di religione», un «seguito di leggi morali», un «certo complesso di riti»: «Tutto questo è secondario, viene dopo. Il cristianesimo è un fatto, un avvenimento». E' il mistero del Dio che si fa compagno di strada dell'uomo, carne e sangue, che assume su di sé la condizione umana fino all'estremo limite della morte. Che per amore, sacrificando se stesso, salva le sue creature dal naufragio nel nulla, nella disperazione, nel vuoto di significato. Da qui, e non da altro, parte la riforma.


E allora si comprendono anche alcune delle risposte che il Papa ha dato a Peter Seewald nel libro in uscita quest'oggi e anticipate dalla stampa nei giorni scorsi. Come quella, tanto fraintesa e subito salutata con tripudio dagli stessi che fino a ieri dipingevano Ratzinger come il peggiore dei Papi possibili, sull'uso del preservativo nel caso in cui una prostituta (o «prostituto», secondo l'originale tedesco) rischi di contagiare il cliente col virus Hiv. «Questo - ha detto il pontefice - può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole». Tuttavia «questo non è il modo vero e proprio per vincere l'infezione dell'Hiv. È veramente necessaria una umanizzazione della sessualità». Ora, alla luce di quanto detto poc'anzi, è chiaro che il punto centrale dell'affermazione papale non è la questione del condom, peraltro limitata al caso specifico, bensì quella della «umanizzazione della sessualità». La chiave di volta, cioè, è ancora e sempre la sfida dell'«essere nuovo» da cui tutto, anche la morale, discende. Perché è solo l'«essere nuovo» che il cristianesimo ha portato nel mondo a poter rigenerare l'umanità nei suoi costumi e nelle sue pratiche. Non viceversa.

Gianteo Bordero

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