da Ragionpolitica.it del 1° dicembre 2010
Un partito che si fregia del titolo «democratico» e che, allo stesso tempo, teme l'espressione massima della democrazia, cioè il voto popolare? Succede anche questo, in Italia, sul finire dell'anno di grazia 2010. Il gioco è semplice: dichiarare con teatrale sussiego che nell'attuale frangente le elezioni sarebbero una sciagura per il Paese al sol fine di non ammettere che la vera sciagura in caso di chiamata alle urne dei cittadini sarebbe quella che, per l'ennesima volta, toccherebbe in sorte a lor signori. A D'Alema, a Veltroni, a Bersani, tutte facce della stessa medaglia, figure intercambiabili di un postcomunismo italiano che, a conti fatti, non ha mai del tutto rinunciato all'antico vizietto di considerare il responso popolare come un fattore secondario rispetto al fine primario della presa del potere. E se il fine giustifica i mezzi, ben venga anche un governo non eletto, un ribaltone che sovverta la volontà del popolo, un compromesso storico con l'innominabile nemico di un tempo. Tutto fa brodo per insediarsi a Palazzo.
Gira che ti rigira, questo è il succo della questione. Questo è il senso, neppure troppo velato, delle dichiarazioni rilasciate in questi giorni dai massimi esponenti del Pd, a partire dall'intervista a D'Alema pubblicata domenica sul Messaggero. Guai a portare il Paese al voto in un momento come questo! Guai a esporre l'Italia al vento della speculazione internazionale! Per carità, argomenti validi se utilizzati da chi, avendo ottenuto il consenso maggioritario dei cittadini e trovandosi sulle spalle l'onore e l'onere di governare e di tenere la barra dritta in mezzo ai marosi della crisi, richiama tutte le forze di maggioranza al senso di responsabilità, invitandole a non gettare il Paese nell'instabilità e nel caos in nome di pur legittime ambizioni personali. Ma usati da partiti che stanno all'opposizione e che in teoria, in un sistema democratico, dovrebbero volere al più presto una legittimazione popolare per diventare maggioranza e mettere in atto un diverso programma e una ricetta alternativa di governo, questi stessi argomenti assumono tutt'altro sapore. Tanto più se si hanno sotto mano sondaggi che vedono la principale forza dello schieramento di minoranza in costante affanno. E tanto più se la coalizione di governo, nonostante tutto quello che è capitato in seno al partito di maggioranza relativa negli ultimi mesi, continua a risultare la più gradita dagli italiani.
E allora è chiaro che la proposta dei vertici del Partito Democratico di dare vita ad un esecutivo che tenga insieme Bersani, Fini, Di Pietro e Casini non ha, non può avere altro fine se non quello di evitare il ricorso alle urne. Anche perché un governo di tal fatta non potrebbe mai, ragionevolmente, dare quelle risposte in nome delle quali esso viene invocato dallo stratega D'Alema: quali miracolose ricette anticrisi e quale ardito programma di incisive riforme sociali potrebbero avere in comune Fli, Udc, Pd e Idv? In realtà, essendo non una visione condivisa del Paese bensì l'antiberlusconismo l'unica forma politica di questa nuova versione del Cln, è evidente che la sola riforma che questo coacervo di forze potrebbe mettere in opera è quella della legge elettorale, per cancellare il premio di maggioranza e impedire un altro giro di valzer del Cavaliere a Palazzo Chigi. Altro che preoccupazione per l'economia! Altro che amor di patria in un momento difficile!
E se poi finisse che le manovre di Palazzo non vanno in porto e ci saranno davvero le elezioni anticipate? Nessun problema, sempre lo statista D'Alema ha già pronta la soluzione: allargare il Cln anche a Nichi Vendola e alla sua sinistra dura e pura, che di resistenza se ne intende, pensando così di assestare il colpo finale al duce di Arcore. Il leader Massimo fa la somma a tavolino dei voti che vanno da Fli a Sel, ma come spesso gli accade fa i conti senza l'oste: il popolo italiano e quella maggioranza silenziosa dei moderati che già in più di un'occasione hanno dimostrato di non credere nella «gioiosa macchina da guerra», e che non crederebbero neppure alla sua ennesima riedizione.
Gianteo Bordero
mercoledì 1 dicembre 2010
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