da Ragionpolitica.it del 21 dicembre 2010
La confusione regna sovrana nel Pd. Solo poche settimane fa il segretario Pier Luigi Bersani aveva incontrato Nichi Vendola per stringere un patto elettorale che prevedeva le primarie di coalizione e, negli stessi giorni, aveva confermato l'alleanza con l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Oggi ecco il cambio di rotta. Basta sinistra e basta primarie. La nuova proposta è quella di un accordo con il nascente Terzo Polo formato da Udc, Fli, Api e Mpa. Un accordo che di politico, a ben vedere, avrebbe ben poco, e rischierebbe di risolversi nell'ennesimo sforzo per costruire un'armata Brancaleone senza altro contenuto concreto oltre al vecchio e mai domo antiberlusconismo. In casa democrat sono convinti di risolvere tutti i problemi con l'aritmetica: seduti a tavolino, calcolatrice alla mano, i vari Bersani, D'Alema e Franceschini fanno di calcolo e si convincono che la somma di Pd + Udc + Fli + Mpa risulterà superiore a quella ottenuta mettendo insieme Pd + Sel + Idv.
Peccato soltanto che non facciano i conti, come del resto è loro usanza, con la realtà. Cioè con il loro elettorato. Che, come emerge da numerosi sondaggi (Repubblica esclusa, guarda caso), preferirebbe di gran lunga andare alle urne in compagnia del governatore pugliese e dell'ex pm piuttosto che con i moderati Casini e Rutelli e con l'ex fascista Fini. Tanto più che, in una ipotetica alleanza con il Terzo Polo, al primato numerico del Partito Democratico non corrisponderebbe un altrettanto chiaro primato politico, con tanti saluti alla vocazione maggioritaria sotto la cui stella era nato il Pd. Sarebbe una curiosa riedizione del centro-sinistra col trattino, ma priva di quel collante, quel minimo di coerenza politica di fondo che procurò molte fortune a questa formula nei passati decenni della nostra storia repubblicana. In questo caso avremmo al massimo un matrimonio d'interessi senza una comune cultura politica. Avremmo la somma di ambizioni particolari di corto respiro e non un progetto organico di governo del Paese.
Ha dunque buon gioco Nichi Vendola a denunciare la debolezza costitutiva di tale progetto, a sottolinearne lo scollamento dai problemi reali dell'Italia, a evidenziare il carattere non politico di un'operazione che sembra finalizzata più a garantire rendite di posizione immediate alla classe dirigente del Partito Democratico che non a proporre al popolo della sinistra una forte alternativa programmatica al centrodestra. Curiosamente, assistiamo qui ad un inaspettato rovesciamento di ruoli: non sono più i «moderati» - si fa per dire - del Pd, bensì i partiti più radicali della sinistra a invocare un'uscita dall'antiberlusconismo fine a se stesso come criterio per costruire le coalizioni. E' il presidente della Regione Puglia a chiedere un ritorno alla politica e ai contenuti, mentre l'ex margheritino Dario Franceschini usa toni estremistici da Cln contro il presidente del Consiglio per giustificare le scelte del suo partito.
Di certo archiviare le primarie e fare del Pd la seconda gamba di una strana alleanza con i nemici di un tempo segnerebbe a suo modo una svolta rispetto alle prospettive con cui il partito era nato e si era mosso sino ad ora. Una svolta che però è soltanto tattica, e a cui non corrisponde un altrettanto significativo cambio di rotta per ciò che concerne l'autocoscienza del Pd, la definizione della sua identità, la rielaborazione della sua cultura politica, se mai ne ha avuto una. Se una simile operazione dovesse andare in porto - ed è lecito nutrire più di un dubbio in proposito, considerate le ultime dichiarazioni di Casini - il risultato sarebbe quello di regalare la golden share della sinistra a Vendola e quella del centro (o meglio del «centrino», per dirla con Paolo Bonaiuti) a Udc & CO: così sarebbe definitivamente compiuta la lunga marcia del Pd verso la totale irrilevanza nel panorama politico italiano.
Gianteo Bordero
martedì 21 dicembre 2010
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