da Ragionpolitica.it dell'8 luglio 2010
Il mitico e mitizzato «Terzo Polo», di cui oggi si torna ancora una volta a parlare, è il sogno perpetuo di tutti quei politici che, con la testa e con il cuore, sono rimasti fermi alla Prima Repubblica. Cioè a quando i governi e i presidenti del Consiglio non li sceglievano i cittadini col voto, bensì le segreterie di partito. Le quali, dopo ogni tornata elettorale, si sedevano a tavolino e, come piccoli alchimisti, cercavano la formula giusta e i numeri necessari per mettere in piedi un esecutivo.
Quel tempo - piaccia o no - è finito sedici anni fa, nel 1994, quando un imprenditore brianzolo di nome Silvio Berlusconi decise, dopo lo tsunami di Mani Pulite e di fronte alla prospettiva di un'inquietante ascesa al potere della «gioiosa macchina da guerra» organizzata dal partito post-comunista, di gettarsi nella mischia e di creare un «Polo» alternativo a quello della sinistra uscita miracolosamente indenne dalle inchieste giudiziarie. Da lì, anche grazie al sistema elettorale maggioritario che si era affermato nei referendum Segni del 1993, prese finalmente forma anche nel nostro paese il bipolarismo tipico delle democrazie più evolute, in cui si fronteggiano due schieramenti distinti e distanti per idee, obbiettivi, cultura politica. Tali schieramenti si presentano agli elettori chiedendo la fiducia sulla base di un programma di governo ben definito, e per così dire «incarnato» dalla figura del leader della coalizione. Non più, dunque, estenuanti liturgie di palazzo e bizantinismi di vario genere per decidere consociativamente, nelle segrete stanze di partito, a chi affidare la guida del paese, bensì la scelta diretta, da parte dei cittadini, di uno schieramento, di un leader, di un programma e, in sostanza, dello stesso governo.
Ma - osservano oggi i terzopolisti di ogni ordine e grado - negli scorsi tre lustri le due coalizioni si sono spesso dimostrate politicamente fragili, litigiose e non in grado di reggere la prova di un'intera legislatura (solo la Casa delle Libertà ci è riuscita negli anni 2001-2006). Ergo - ne deducono - bisogna buttare via il bambino assieme all'acqua sporca, cioè mettere sotto accusa il bipolarismo in quanto tale, il sistema dell'alternanza tra centrodestra e centrosinistra, scrivere una nuova legge elettorale che con qualche astruso meccanismo permetta al «Terzo Polo» antibipolare di prendere più potere con meno voti, di insediarsi a palazzo sol in nome di un superiore senso di «responsabilità nazionale». Come se i cittadini fossero incapaci di intendere e di volere e occorresse un partito di illuminati per raddrizzare le loro scelte sbagliate e testardamente fossilizzate sulla scelta tra destra e sinistra. Popolo bue.
Quello che i fautori del Terzo Polo non comprendono è che i difetti di quella che è stata chiamata «Seconda Repubblica» non sono imputabili al bipolarismo in sé considerato, ma sono dovuti semmai alle iniezioni del vecchio sistema nel nuovo. A partire, ad esempio, dalla sciagurata scelta del «Mattarellum», che si fece beffe del referendum Segni introducendo una quota di proporzionale nel nuovo metodo di voto e aprì la strada a una frammentazione che oggi è stata superata solo grazie all'evoluzione in senso ancor più bipolare delle due coalizioni (2008).
Insomma, come in ogni processo politico di grande portata bisogna dare tempo al tempo, lasciare che le cose maturino, operando per correggere le criticità che man mano emergono. Senza catastrofismi, senza invocare a ogni piè sospinto il ritorno al passato, senza evocare un giorno sì e l'altro pure il motto «si stava meglio quando si stava peggio». La qual cosa può essere vera per certi terzopolisti ora finiti ai margini del panorama politico, ma di sicuro non per la stragrande maggioranza degli elettori, che di giochi e giochetti di palazzo non ne può davvero più.
Gianteo Bordero
giovedì 8 luglio 2010
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