giovedì 15 luglio 2010

D'ALEMA. QUANDO IL PALAZZO SOSTITUISCE GLI ELETTORI

da Ragionpolitica.it del 15 luglio 2010

A Massimo D'Alema, intervistato da Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera, sfugge un concetto basilare che sta a fondamento delle moderne democrazie: i governi non li fanno i «migliori», gli «illuminati», i «filosofi della politica», gli «intellettuali» più o meno organici (alla sinistra), bensì nascono dalla volontà del popolo espressa mediante libere elezioni. All'ex segretario diessino questo evidentemente non piace: basti pensare al modo in cui entrò a Palazzo Chigi nel 1998 dopo aver mandato gambe all'aria il governo Prodi scelto dagli elettori due anni prima: fuori Bertinotti e dentro qualche transfuga del centrodestra allora all'opposizione... e il gioco è fatto. Oggi, a dodici anni di distanza, Baffino è ancora lì a discettare della necessità di dare al paese un altro esecutivo sempre attraverso gli stessi metodi d'allora: non il voto degli italiani, non il rispetto della volontà popolare, che D'Alema mostra di non tenere in grande considerazione, bensì le manovre di Palazzo, le alchimie tra partiti, le formule da piccolo chimico della politologia.


E allora via con la «fase nuova», le «larghe intese», l'«appello alla responsabilità». Tutto questo per dire cosa? Per ottenere cosa, alla fine dei conti? Un ritorno al governo del partito postcomunista senza passare per la strada maestra delle elezioni, che in questo momento - come peraltro accade da un po' di anni a questa parte - punirebbero in maniera severa una sinistra senza arte né parte, priva di un leader autorevole, di un programma chiaro, di un progetto potenzialmente vincente. E' il solito vizietto degli eredi del Pci, a cui la democrazia sta bene fino a quando premia loro, ma che diventa insopportabile ingiustizia quando manda al governo l'altra parte, di solito definita «nemica del popolo» - e non si capisce bene perché, se è lo stesso popolo ad averla votata. Del resto, i figli di Berlinguer sono così: talmente convinti della loro superiorità politica, morale, antropologica e culturale da ritenersi loro i veri interpreti, i maieuti della volontà di un popolo bue, immaturo, e che, se lasciato a se stesso, produce solo disastri su disastri.


D'Alema ci informa poi per l'ennesima volta - ormai abbiamo perso il conto - che «la lunga fase della parabola berlusconiana è finita». Sono dieci anni che sentiamo gli esponenti della sinistra ripetere che Berlusconi è in declino, è sul viale del tramonto, è a fine corsa, non ha più benzina nel motore, ha fallito e gli italiani gli hanno voltato le spalle e via strologando... La storia dimostra la lungimiranza di certi illuminati giudizi che i dirigenti della gauche nostrana e i maître à penser dell'antiberlusconismo militante hanno propalato per due lustri dipingendo ogni giorno come se fosse l'ultimo dell'esperienza politica del Cavaliere. E' proprio questa lontananza, questo distacco dalla realtà ad aver condotto la sinistra a quella marginalità politica che oggi è sotto gli occhi di tutti e che spinge D'Alema a ipotizzare strane soluzioni per ottenere coi metodi della vecchia politica politicante ciò che il suo partito non potrebbe avere passando attraverso le urne.


E che cosa dovrebbe fare questo fantomatico governo di larghe intese, ovviamente non più guidato dall'impresentabile Berlusconi? Al primo posto, e non a caso, Baffino mette la riforma della legge elettorale. Perché l'attuale, a suo dire, «produce un bipolarismo fondato su una personalizzazione distorta della politica». Basta, dunque, con il bipolarismo muscolare, meglio tornare al vecchio sogno dalemiano del modello tedesco, rimettendo al centro i partiti al posto delle leadership, le nomenklature al posto del rapporto diretto tra leader e popolo, infine gli apparati al posto degli elettori. Solo così, infatti, D'Alema e altre figure di spicco - diciamo così - del panorama politico nazionale potrebbero aspirare a guidare governi frutto sì di maggioranze parlamentari, ma figli sciagurati della sommatoria di minoranze elettorali.


Gianteo Bordero

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