mercoledì 21 luglio 2010

LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI. CHI TRADISCE IL PROGRAMMA...

da Ragionpolitica.it del 21 luglio 2010

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il Guardasigilli Angelino Alfano, seppur con modi e toni diversi, lo hanno detto chiaro: il testo del disegno di legge sulle intercettazioni uscito dalla Commissione Giustizia di Montecitorio, che passa ora alla discussione e alla votazione in aula, non corrisponde a quanto previsto dal programma presentato dal Popolo della Libertà alla vigilia delle elezioni politiche del 2008: «Limitazione dell'uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali al contrasto dei reati più gravi; divieto della diffusione e della pubblicazione delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, con pesanti sanzioni a carico di tutti coloro che concorrono alla diffusione e pubblicazione».


La cosiddetta «ala finiana» all'interno del Pdl ha condotto infatti, in questi mesi, un continuo ed estenuante gioco al ribasso, edulcorando e svuotando, giorno dopo giorno, un provvedimento a cui gli italiani, con il loro voto, avevano dato ampio e maggioritario sostegno. Si trattava di porre un significativo argine a un malcostume che ormai da molti anni ammorba la vita democratica del paese, con sistematiche violazioni del segreto istruttorio e conseguente messa alla gogna e sputtanamento della vita privata di persone colpevoli unicamente di aver parlato al telefono con soggetti sottoposti ad indagine da parte della magistratura. E invece, in nome di un conclamato legalitarismo ideologico - derivazione diretta del giustizialismo che ancora alberga in certi settori della destra italiana - e, soprattutto, in nome di una battaglia di logoramento politico contro il presidente del Consiglio, i finiani hanno fatto di tutto per giungere ad un compromesso al ribasso - l'unico possibile nelle attuali circostanze politiche, ha spiegato il ministro Alfano - che vanifica de facto le buone e sacrosante intenzioni espresse dal programma del 2008.


Il presidente della Camera ha salutato le modifiche al testo approvate martedì come una vittoria del parlamento e come una garanzia di rispetto del dettato costituzionale. Il primo punto mostra come Fini abbia ormai abbandonato il suo cavallo di battaglia presidenzialista per sposare una visione del parlamentarismo che molto assomiglia a quell'assemblearismo che ha prodotto soltanto ingovernabilità ovunque esso abbia avuto corso - nella prima Repubblica italiana e nella quarta Repubblica francese, ad esempio. Per quanto riguarda il secondo punto, resta da capire come potrà essere veramente rispettato, dopo l'emendamento voluto dai seguaci della terza carica dello Stato, l'articolo della Carta costituzionale che definisce come «inviolabili» la «libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione».


Ma l'aspetto più grave in tutta questa vicenda è quello, cui già abbiamo accennato, del tradimento delle promesse elettorali che è stato consumato da chi, grazie a quello stesso programma e grazie alla vittoria del 2008 su di esso fondata, ha potuto non soltanto essere eletto, ma anche accedere a importanti cariche istituzionali che molto probabilmente non avrebbe mai potuto occupare con le proprie sole forze. Tutto ciò contrasta con uno dei capisaldi che sin dal 1994 è stato alla base della grande avventura politica di Silvio Berlusconi e del suo successo: il rispetto degli impegni assunti con gli elettori («Pacta sunt servanda»), fondamento di quella «nuova moralità della politica» che ha permesso al nostro paese di uscire - almeno in parte - dalle secche dell'assemblearismo, del consociativismo e dei conseguenti giochi di palazzo portati avanti da questa o quella corrente, e di evolvere materialmente verso un parlamentarismo moderno e maturo, in cui le Camere non sono «terze» rispetto al governo, ma hanno come compito primario quello di esprimere una maggioranza chiamata a sostenere l'attività e le iniziative legislative dell'esecutivo. Se c'è una cosa di cui oggi c'è bisogno, come ha ricordato più volte il presidente del Consiglio, è una consacrazione anche formale della nuova Costituzione materiale nata con la seconda Repubblica, di certo non il ritorno a vecchie liturgie che creano soltanto confusione, instabilità di sistema e disaffezione dei cittadini nei confronti della politica.


Gianteo Bordero

Nessun commento: