da Ragionpolitica.it del 7 luglio 2010
Nei giorni scorsi Benedetto XVI ha istituito il Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione dell'Occidente, e vi ha posto a capo monsignor Rino Fisichella, già presidente della Pontificia Accademia per la vita e rettore dell'università Lateranense. L'annuncio è stato dato dal Papa il 28 giugno nel corso dei primi vespri della solennità dei santi Pietro e Paolo: «Vi sono regioni del mondo - ha spiegato - in cui il Vangelo ha messo da lungo tempo radici, dando luogo ad una vera tradizione cristiana, ma dove negli ultimi secoli, con dinamiche complesse, il processo di secolarizzazione ha prodotto una grave crisi del senso della fede cristiana e dell'appartenenza alla Chiesa. In questa prospettiva - ha proseguito - ho deciso di creare un nuovo organismo, nella forma di Pontificio Consiglio, con il compito precipuo di promuovere una rinnovata evangelizzazione nei paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di "eclissi del senso di Dio", che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo».
Una decisione importante, quella di Benedetto XVI, in linea con la sua decennale riflessione a proposito dell'Europa e dell'Occidente. Luoghi che sono tornati ad essere terra di missione, in cui l'incisività della presenza cristiana non può più darsi per scontata come un tempo. Quando il Papa parla di «progressiva secolarizzazione» e di «eclissi del senso di Dio» tornano alla mente le espressioni con le quali il cardinale Ratzinger aveva descritto, nella messa pro eligendo pontifice che aprì il conclave del 2005, la situazione della Chiesa nel mondo attuale, soprattutto in quei contesti nei quali il cristianesimo è radicato da quasi due millenni: qui la «barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata» dalle onde delle correnti ideologiche, e oggi proprio il «lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni». E' il dramma della «dittatura del relativismo, che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Occorre però capire che cosa significhi e in che cosa consista questa «nuova evangelizzazione». Innanzitutto non si tratta di proporre nuovi contenuti, ma di testimoniare nuovamente la fede cristiana trasmessa dalla tradizione nei luoghi in cui ci si trova a vivere, nell'ordinarietà della vita quotidiana: un piccolo ma grande eroismo feriale che diventi segno visibile e tangibile della presenza reale di Dio nel mondo, proprio in quei contesti che più sembrano lontani dall'adesione all'annuncio cristiano. Mostrare che la fede fa vivere e riempie di significato ogni meandro dell'esistere proprio laddove la mancanza di un senso totale della vita viene data per scontata, quasi un non detto che però finisce per diventare il criterio orientativo di ogni gesto, di ogni parola, di ogni scelta. E' qui, dove una sorta di tacito nichilismo di massa sembra esser divenuto la concreta professione di fede di tanti, che il cristiano, con la sua testimonianza, col suo stesso essere prima ancora che con il suo dire, può farsi sale della terra e lievito per una nuova fioritura di umanità. Perché il cristiano, prima ancora che una dottrina, porta con sé le tracce dell'incontro col Dio fattosi uomo, che agisce laddove ogni teoria umana non può arrivare: negli abissi dell'anima, nei silenziosi drammi interiori che solo Lui vede e conosce, che solo Lui può redimere.
In secondo luogo, il Pontificio Consiglio non vuole essere in quanto tale la risposta alla secolarizzazione e alla scristianizzazione. Esso è semmai uno strumento, un aiuto affinché siano chiari i termini del problema e possano così esser date indicazioni che ogni comunità e ogni singolo credente potranno poi fare propri. La risposta, dunque, non è la struttura in sé, ma è e resta la fede della Chiesa. Su questo punto il cardinale Ratzinger era stato chiaro nel suo libro-intervista con Vittorio Messori, Rapporto sulla fede. Parlando del «nostro darci da fare zelante per erigere nuove, sofisticate strutture», aveva detto: «Riforma vera non significa tanto arrabattarci per erigere nuove facciate, ma darci da fare per far sparire nella maggiore misura possibile ciò che è nostro, così che meglio appaia ciò che è Suo, del Cristo. È una verità che ben conobbero i santi: i quali, infatti, riformarono in profondo la Chiesa non predisponendo piani per nuove strutture ma riformando se stessi. L'ho già detto, ma non lo si ripeterà mai abbastanza: è di santità, non di management che ha bisogno la Chiesa per rispondere ai bisogni dell'uomo».
Gianteo Bordero
mercoledì 7 luglio 2010
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