da Ragionpolitica.it del 14 aprile 2010
Dopo sessantacinque anni capitola anche una delle ultime roccaforti rosse: il centrodestra strappa al centrosinistra il Comune di Mantova. E' il simbolo da un lato del processo di rafforzamento sul territorio dell'asse Pdl-Lega, dall'altro della crisi sempre più profonda in cui versa la gauche italiana. Una crisi che viene da lontano (essa ha avuto inizio nel momento in cui si è affermata l'idea che l'unico collante per sconfiggere il centrodestra fosse l'antiberlusconismo duro e puro) ma che negli ultimi due anni è emersa in tutta la sua portata. Il centrosinistra ha perso, nell'ordine: nel 2008 le elezioni politiche e le regionali in Friuli e in Abruzzo; nel 2009 le elezioni regionali in Sardegna, le europee e le amministrative; infine, nel 2010, le regionali e le amministrative del 28 e 29 marzo scorsi. Un panorama desolante: in ventiquattro mesi è cambiata radicalmente la geografia politica del paese, e quello che fino agli inizi del 2008 sarebbe apparso anche al più pessimista tra i sostenitori della sinistra come uno scenario da incubo, è invece divenuto realtà.
A poco è servito, al maggior partito dell'attuale opposizione - cioè quello che dovrebbe essere il motore del centrosinistra, il suo cuore pulsante - avvicendare ben tre segretari in due anni: Veltroni, Franceschini, Bersani. Perché al cambiamento del nome del leader non è corrisposto alcun cambiamento della cosa, cioè della rotta politica del partito. Soprattutto, nessuno dei tre capi del Pd è stato veramente in grado di far uscire il soggetto erede dei Ds e della Margherita dalle secche nelle quali l'avevano condotto più di due lustri di fede cieca nel mito delle varie Unioni, Ulivi, Grandi Alleanze Democratiche, messe in piedi sotto lo stellone di Prodi senza alcun fondamento programmatico oltre all'avversione totale e quasi teologica al Cavaliere. Ci aveva provato Veltroni, e sappiamo tutti che triste fine abbia fatto la sua «nuova stagione»; Franceschini, memore della lezione, si era rigettato nell'antiberlusconismo più becero, nella speranza di salvare la poltrona al congresso del 2009: niente, perché essere stato il vice di Walter era una colpa inescusabile agli occhi della vecchia guardia del partito; infine è arrivato Bersani, con la promessa di «dare un senso a questa storia»: sono passati già sei mesi e di questo «senso» non c'è traccia alcuna. Si vedono soltanto le solite sconfitte elettorali, le solite liti interne, la solita caccia al segretario di turno, e soprattutto si vede la solita incapacità di andare alle radici della crisi e di agire di conseguenza, dando vita coraggiosamente a una moderna sinistra di stampo europeo che rompa con i vecchi schemi del passato. Certo, è un'operazione che richiede tempo e paziente tessitura politica, ma a furia di rimandare al domani la gauche italiana sta perdendo tutti gli appuntamenti con la storia.
E sui treni persi dal Pd e dai suoi alleati ci sale invece il centrodestra: ci salgono Berlusconi e Bossi, il Popolo della Libertà e la Lega Nord, che riescono a fare breccia in fasce sempre più ampie dell'elettorato e perfino in quei settori un tempo appannaggio esclusivo della sinistra. Una sinistra che non è più capace di parlare a quello che per decenni è stato il suo popolo, che non ha programmi e soluzioni da proporre ai suoi tradizionali simpatizzanti, che ha perso il contatto con gli italiani e con i loro problemi quotidiani. Tutta ripiegata su se stessa e concentrata unicamente sulle formule aritmetiche di coalizione con cui tentare di tornare ad essere competitiva con il centrodestra, senza più visione e senza più anima genuinamente popolare, la gauche nostrana sembra incamminata su un sentiero senza via d'uscita. Prova ne sia, da ultimo, l'accusa di populismo rivolta al Pdl e alla Lega: è l'ennesima resa a quell'atteggiamento radical-chic che negli ultimi lustri ha trasformato i partiti di sinistra in soggetti autoreferenziali, in gruppi ristretti di personale politico che non sono stati più in grado di attingere alla linfa vitale del rapporto con il loro popolo, che ha iniziato a guardare da un'altra parte e a cercare altri leader da cui farsi rappresentare.
Gianteo Bordero
mercoledì 14 aprile 2010
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