giovedì 8 aprile 2010

PD, SE CI SEI BATTI UN COLPO

da Ragionpolitica.it dell'8 aprile 2010

Mentre la maggioranza, uscita rafforzata dall'esito del voto regionale, macina politica a pieno ritmo e mette in cantiere un grande progetto di riforme a tutto campo da realizzarsi negli ultimi tre anni di legislatura, il Partito Democratico sembra scomparso dalla scena. Pd, non pervenuto. Sarà per la delusione conseguente alle elezioni del 28 e 29 marzo scorsi; sarà perché Bersani e suoi hanno dovuto riporre ancora una volta nel cassetto il sogno della spallata a Berlusconi; sarà per l'emorragia di consensi registrata perfino nei tradizionali feudi rossi; sarà per lo stordimento di fronte alla ripresa in grande stile dell'iniziativa politica da parte dell'asse Pdl-Lega... Fatto sta che il maggior partito d'opposizione, da un po' di giorni a questa parte, è diventato quasi afono: qualche dichiarazione d'ufficio del segretario, il solito inconcludente dibattito interno, pochi titoli di giornale e per lo più relegati nelle pagine interne. Insomma, il Pd non fa più notizia. Forse perché la notizia non c'è.


Prima delle elezioni ragionali il partito di Bersani sembrava destinato, stando alle dichiarazioni dei suoi esponenti, a spaccare il mondo, a infliggere una pesante sconfitta al Cavaliere e a indebolirne così il governo, a riproporsi come il perno politico di una nuova alleanza di centrosinistra in grado di contendere allo schieramento avversario la vittoria alle elezioni generali del 2013. In realtà già questa era mera propaganda senza costrutto, perché sin dalla fase della definizione delle candidature per la guida delle Regioni il Pd non aveva certo brillato per capacità d'iniziativa e per autorevolezza nella conduzione del centrosinistra. Alcuni esempi: nel Lazio aveva di fatto subìto la candidatura della radicale Bonino, in Puglia aveva visto morire nella culla delle primarie il progetto dalemiano di un'alleanza con l'Udc di Casini e aveva dovuto ingoiare per la seconda volta la nomination di Vendola, in Calabria aveva tentennato fino all'ultimo sul da farsi, non riuscendo a trovare un accordo con l'Idv. Insomma, se queste erano le premesse, era oggettivamente difficile credere che le conseguenze sarebbero state diverse. Invece i dirigenti del Pd annunciavano giorni radiosi per le sorti del partito e della sinistra, parlavano - come usanza da dieci anni a questa parte - di imminente declino del berlusconismo, pronosticavano un ampio malcontento dell'elettorato di centrodestra nei confronti del governo, e via profetizzando...


Per un verso era quindi inevitabile che dopo una smentita così clamorosa delle loro previsioni e dei loro vaticini gli illuminati del Pd si rinchiudessero silenti nelle «secrete stanze» del Nazareno per tentare di metabolizzare la sconfitta e di trovare una plausibile spiegazione ad essa. Per un altro verso, però, l'atteggiamento mostrato in questi giorni dai vertici democratici (da ultimo i tentennamenti a proposito del dialogo con la maggioranza sulle riforme, con dichiarazioni tutte all'insegna del «sì, però», «ma», «forse», «vedremo», «chi lo sa», ecc..) deve far riflettere sullo stato di crisi permanente di un partito che, nonostante i ripetuti cambi di leadership, gli annunci di rinnovamento, di nuove stagioni e di svolte epocali, non riesce ad esprimere nulla che assomigli - neanche lontanamente - a una linea politica degna di tal nome, a una strategia capace di rendere competitivo il centrosinistra sul piano dei programmi e delle proposte andando oltre l'antiberlusconismo di maniera, a un progetto di ampio respiro che riparta dal rapporto col territorio per mettersi in sintonia con le esigenze del paese.


Così, col Pd in stato comatoso, il campo è sgombro per le scorribande dei vari Di Pietro, Vendola, Grillo, che possono tranquillamente andare a caccia di voti in libera uscita da un partito senza idee, senza coraggio, senza prospettive. Se Bersani pensava di ottenere dalle regionali la conferma della possibilità di rifare una grande Unione di centrosinistra sotto la regia democratica e in chiave anti-Cavaliere, ha sbagliato i suoi conti. Non soltanto perché - vedi il caso Piemonte - anche la riedizione della formula prodiana potrebbe non essere sufficiente a vincere, ma anche e soprattutto perché i suoi sedicenti alleati hanno ben compreso che le loro fortune presenti e future dipendono dalle sfortune del Pd, cioè dal suo progressivo indebolimento e cedimento strutturale. Oggi il segretario del Partito Democratico ha un'occasione d'oro per uscire dalle sabbie mobili: sedersi senza indugi al tavolo delle riforme con la maggioranza e diventare co-protagonista del cambiamento delle istituzioni e dell'ammodernamento dello Stato. Se sceglierà la strada opposta, condannerà se stesso e il Pd alla definitiva irrilevanza politica, aprendo la via alla dissoluzione finale del partito. E' l'ultima chiamata.


Gianteo Bordero

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