da Ragionpolitica.it del 18 dicembre 2008
La notizia è questa: checché ne dica la casta dei vari Grillo, Di Pietro, Travaglio, Flores D'Arcais e compagnia, checché ne pensi una certa magistratura che interpreta il suo ruolo come quello del custode unico e insostituibile dell'etica pubblica, dalla politica può ancora venire qualcosa di buono per il paese. Cioè per la vita del popolo italiano. Seguendo l'insegnamento della migliore e tanto bistrattata prima Repubblica, che educava i giovani impegnati nei partiti democratici e liberali al tanto vituperato «primato della politica», il ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha diffuso ieri l'altro una direttiva destinata a lasciare il segno oltre la contingenza storica cui essa si riferisce.
Il caso è noto: dopo la recente sentenza definitiva della Corte di Cassazione, a Eluana Englaro potrebbero essere sospese l'idratazione e la nutrizione da un momento all'altro. Ciò comporterebbe, per la donna, una lunga agonia e ad un'atroce morte di fame e di sete. Il perché si sia giunti a questo punto è ormai risaputo: «Eluana è già morta», «Eluana è un vegetale», «Meglio una morte degna che una vita indegna» ripetono da tempo, a ogni pie' sospinto, i tanti Umberto Veronesi sparsi per la Penisola, convinti, in forza della loro suprema Scienza, di poter essere i giudici insindacabili della vita e della morte delle persone. Il problema, però, sorge nel momento in cui diventa necessario individuare un ospedale, una clinica, una struttura che accetti di ospitare tra le sue mura gli ultimi giorni di Eluana, che lasci morire la giovane «come un vegetale» privato del sostegno vitale. Si fa avanti una clinica friulana. Che, in accordo con la famiglia e con i medici e gli avvocati di questa, prepara il «ricovero», quello che i giornali chiamano «l'ultimo viaggio di Eluana».
E' di fronte a questa situazione che Maurizio Sacconi decide di intervenire con i suoi poteri di ministro emettendo una direttiva che parla chiaro: interrompere la nutrizione e l'idratazione di una persona in «stato vegetativo persistente» rappresenta un atto oggettivo di abbandono del malato. Sacconi si rifà, per motivare la sua direttiva, a un parere espresso il 30 settembre 2005 dal Comitato nazionale di bioetica e alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall'Onu il 13 dicembre 2006. Nel primo documento si afferma che la somministrazione di cibo e acqua, venga essa fornita per vie naturali o artificiali, «è il sostentamento ordinario di base». Nutrizione ed idratazione, secondo il Comitato di bioetica, «vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere». Nella Convenzione delle Nazioni Unite si stabilisce, poi, che gli Stati membri «riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità». Per questo è compito dei governi «prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità». In forza di ciò il ministro invita le Regioni «ad adottare le misure necessarie affinché le strutture sanitarie pubbliche e private si uniformino ai principi sopra esposti e a quanto previsto dall'articolo 25 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità».
Come prevedibile, la direttiva approntata da Sacconi innesca subito la solita ridda di polemiche: forti critiche al ministro vengono dalla stampa laicista, dal magistrato che ha emesso l'ultima sentenza, dal dottore di Eluana, dalla lobby dei medici favorevoli alla «dolce morte», dai partiti della sinistra e chi più ne ha ne metta. L'accusa è quella di voler impedire alla giustizia di fare il suo corso, di voler imporre un'etica di Stato, di voler accontentare il Vaticano. Nessuno, però, che si chieda se la decisione di Sacconi corrisponda o meno a un oggettivo interesse pubblico, che come tale deve essere tutelato dalla politica: quello di salvaguardare la vita come bene primario e indisponibile, impedendo che essa venga trattata non secondo il criterio della giustizia e del diritto, ma in base all'arbitrio e ai dettami contingenti della cultura dominante. Noi riteniamo che il ministro abbia fatto quello che un rappresentante del popolo e delle istituzioni deve fare: intervenire, usando i mezzi di cui per legge dispone, per riaffermare il principio dell'interesse generale e del bene comune di fronte ai tentativi di poteri non eletti di trasformare una visione patentemente di parte in un dogma etico per tutti. L'alternativa è ritenere che la vita sia un bene relativo, con tutte le conseguenze e le ricadute del caso in termini di rispetto della persona, soprattutto di quella più debole e indifesa. Come Eluana. Sarebbe, questa, vera civiltà?
Gianteo Bordero
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