martedì 16 dicembre 2008

IL LUNEDÌ NERO DEL PD

da Ragionpolitica.it del 16 dicembre 2008

Già la mattina non prometteva bene, con i dati sulla bassa affluenza ai seggi che allarmava il quartier generale del partito. Poi il pomeriggio confermava le più cupe previsioni. Verso le 18, dopo 3 ore di scrutinio, iniziavano a delinearsi le dimensioni del patatrac. A quell'ora, infatti, non soltanto il candidato del centrodestra, Gianni Chiodi, si posizionava stabilmente tra i 6 e gli 8 punti percentuali di vantaggio sul suo avversario Carlo Costantini, ma soprattutto prendeva forma quello che sarebbe stato il vero dato politico della giornata: al crollo verticale del partito di Veltroni corrispondeva la crescita esponenziale dell'Italia dei Valori. I dati definitivi, a notte inoltrata, dicono che il Pd è affondato, passando dal 33,5% del 13-14 aprile a un misero 19,6%, mentre Antonio Di Pietro e la sua Idv sono saliti dal 7% al 15%. I democratici, dunque, hanno perso in 7 mesi il 40% dei loro consensi, mentre i dipietristi li hanno raddoppiati. Se il raffronto, poi, è con le regionali del 2005, quelle che videro trionfare Ottaviano Del Turco, le cose per il Pd vanno ancora peggio: Ds più Margherita (allora separati) ottennero il 35,4% (rispettivamente il 18,6 e il 16,8%), mentre l'Idv si fermò al 2,4%. Rispetto a soli 3 anni fa, dunque, il numero di elettori del Pd in Abruzzo s'è quasi dimezzato, mentre i sostenitori del partito dell'ex pm si sono sestuplicati. Numeri da capogiro, in un senso e nell'altro. Che non possono essere spiegati, come invece hanno fatto numerosi esponenti del Pd, soltanto con l'elevato astensionismo.

Intanto, ai microfoni delle tv e sulle agenzie, in serata Antonio Di Pietro iniziava gongolante il suo show fatto di proclami trionfalistici e di j'accuse, di auto-incoronazione a nuovo leader del centrosinistra e di bordate contro il Partito Democratico. Dichiarava, ad esempio, il capo dell'Idv: «Noi abbiamo rilanciato la questione morale senza la quale i cittadini vedono che nulla cambia... I partiti che non sono né carne né pesce, che fanno riunioni, che dicono "ma anche" e che non si decidono, vengono puniti». Come con una trottola, l'ex pm si prendeva gioco dell'alleato: dopo esser riuscito a fargli sostenere il suo candidato presidente, ora lo accusava di non essere all'altezza della missione «moralizzatrice» incarnata dall'Italia dei Valori. Dalla padella alla brace. Tutto prevedibile? Forse, ma il talento naturale di Di Pietro, la sua capacità di infierire sui deboli e di capitalizzare poi politicamente i frutti delle sue requisitorie, hanno reso ancor più grama la giornata dei democratici.

Ma la mazzata finale doveva ancora arrivare. Il peggio era dietro l'angolo. Un'Ansa delle 23.53 annunciava infatti l'arresto di Luciano D'Alfonso. Il quale, oltre ad essere sindaco di Pescara, è pure il coordinatore regionale del Partito Democratico. Finito già nei mesi scorsi nel mirino della Procura della Repubblica, avrebbe annunciato stamane le sue dimissioni dalla carica di primo cittadino e dalla segreteria abruzzese del Pd. Tra le accuse quella di concussione, truffa e peculato per un appalto sui cimiteri, nonché falso ideologico e associazione per delinquere. Ex Ppi, ex Margherita, già giovanissimo presidente della Provincia di Pescara, oggi al secondo mandato amministrativo, solo qualche ora prima dell'arresto D'Alfonso aveva analizzato la sconfitta del suo partito parlando di una «disaffezione» dell'elettorato di centrosinistra «di cui ci sentiamo responsabili». Dopo Genova, Napoli e Firenze, un nuovo caso destinato a gettare altra benzina sul fuoco in casa democratica.

Il giorno dopo, le ferite ancora sanguinano e i dirigenti del Pd cercano di puntellare come possono i fondamenti dell'edificio faticosamente costruito nell'ultimo anno. Ma crescono i mal di pancia interni, aumenta il malcontento di coloro (e non sono pochi) che vedono come fumo negli occhi l'alleanza con Di Pietro, e che oggi, dopo che il voto abruzzese ha reso anche plasticamente l'idea della stretta mortale con cui l'ex pm sta cingendo il Pd, hanno un argomento in più per far valere le loro ragioni di fronte al segretario. Il quale è chiamato ora a giocare la partita più difficile non soltanto da quando è alla guida del Partito Democratico, ma di tutta la sua carriera politica: tenere in piedi una casa pericolante non soltanto a causa dei continui scossoni dovuti alle correnti interne, ma per la sferza dei venti (Di Pietro e le inchieste giudiziarie) che dall'esterno soffiano senza posa, giorno dopo giorno, con sempre maggiore forza e intensità. Mai il crollo è stato così vicino.

Gianteo Bordero

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