da Ragionpolitica.it del 4 dicembre 2008
Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha spiegato martedì da Bruxelles, carte alla mano, che la decisione di «armonizzare» l'Iva pagata da Sky Tv non è un capriccio del governo Berlusconi, ma nasce da un'esplicita richiesta dell'Ue. Senza tale provvedimento sarebbe stata aperta, nei confronti dell'Italia, una procedura d'infrazione per la violazione delle regole europee. Tremonti, inoltre, ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica documenti risalenti al periodo di attività del governo Prodi, chiarendo così che l'attuale esecutivo altro non ha fatto che portare a termine un percorso già avviato dal centrosinistra.
Tutto chiarito, dunque? Neanche per sogno, perché, in assenza di argomenti più sostanziosi sui quali condurre la battaglia di opposizione, il Partito Democratico ha continuato a soffiare sul fuoco della polemica, servendosi della vicenda per rovesciare ancora una volta addosso all'esecutivo e al presidente del Consiglio ogni genere di accusa, da quella (solita) di voler limitare il pluralismo televisivo e la libertà di pensiero nel nostro paese, a quella fresca fresca di giornata: «Il governo Berlusconi alza le tasse», ha dichiarato l'ex viceministro dell'Economia Vincenzo Visco intervistato mercoledì da La Stampa. Detto dal Grande Tassatore è tutto un programma. Visco dimentica un paio di cosette. Primo: che altro era la cancellazione dell'Ici sulla prima casa varata dal governo Berlusconi dopo pochi giorni dal suo insediamento, se non un significativo taglio di un'imposta odiosa come quella sull'abitazione di proprietà? Secondo: nel caso di Sky, ci si rende conto di che cosa si sta parlando? La sinistra tratta l'abbonamento alla pay tv come se fosse un genere di prima necessità, come se fosse il pane quotidiano, la pasta o il latte. Invece trattasi di un cosiddetto «bene voluttuario», di cui usufruisce una fetta comunque ristretta di cittadini che se lo possono permettere.
L'atteggiamento dell'opposizione è tanto più irresponsabile se si tiene a mente il contesto generale nel quale esso si colloca. La sinistra si fa paladina di una multinazionale miliardaria come Sky mentre la gente comune deve fare i conti tutti i giorni con una crisi che, ben prima che mettere a rischio la sottoscrizione alla pay tv, va spesso a toccare l'essenziale, quello con cui sfamare i figli e mantenere la famiglia su un tenore di vita dignitoso. Lo stesso essenziale verso cui sono dirette le misure adottate dal governo Berlusconi, come la social card e il bonus famiglie. Misure che un tempo si sarebbero dette «di sinistra» e che sono anch'esse - ironia della sorte - criticate dal Pd in maniera pretestuosa, scavalcando la realtà e lo stato delle cose nel nostro paese.
Ben più che le diatribe interne, ben più che l'eterno duello tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema, ben più che lo sterile dibattito sul fantomatico «partito del Nord», ben più che le batoste elettorali inanellate negli ultimi tempi, a testimoniare lo stato comatoso in cui versa la gauche italiana sono fatti e prese di posizione come quelle descritte, che mettono una pietra tombale su tutto ciò che la parola «sinistra» ha rappresentato nella storia dell'Italia repubblicana. Arrivare al punto di difendere la più grande televisione a pagamento e definire con parole sprezzanti i provvedimenti del governo in favore dei veri poveri, non quelli oggetto delle chiacchiere salottiere dei radical-chic, significa aver perduto totalmente il contatto con la realtà ed essersi sganciati dai bisogni concreti dei cittadini in carne ed ossa; significa aver abbandonato a se stessa la classe operaia, un tempo orgoglio e vanto della sinistra. Dalle fabbriche a Sky. Parafrasando un celebre romanzo di Carlo Levi, potremmo dire che davvero «la sinistra si è fermata alla pay tv».
di Gianteo Bordero
giovedì 4 dicembre 2008
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