mercoledì 23 giugno 2010

UN MOVIMENTO DI POPOLO, NON UN VECCHIO PARTITO

da Ragionpolitica.it del 23 giugno 2010

Rispondendo a un militante sul sito forzasilvio.it, Berlusconi ha sottolineato alcuni punti essenziali a proposito della natura originaria del Popolo della Libertà. Punti dimenticando i quali si rischia di indebolire il Pdl, con conseguenze esiziali per la stabilità politica del governo e della maggioranza che lo sostiene.


Primo. «Il Pdl non è un partito. E' un grande movimento di popolo... La parola "partito" non mi è mai piaciuta perché indica una parte, una divisione. Il Popolo della Libertà, invece, è un movimento, un soggetto politico che si rivolge a tutti ed è completamente diverso dai vecchi partiti dominati dalle nomenclature». Ciò è confermato dal fatto che il Pdl non è nato da un'operazione di alchimia politica condotta dall'alto, attraverso una fusione a freddo tra classi dirigenti, bensì ha preso le mosse dal basso, dalla gente. Soprattutto - ha ricordato il presidente del Consiglio - dal grande raduno di Piazza San Giovanni del dicembre 2006, quando due milioni di persone si ritrovarono a Roma per manifestare contro il governo della sinistra. Fu allora che, per la prima volta, si unirono «le bandiere di Forza Italia e di Alleanza Nazionale» per difendere la libertà dall'«oppressione fiscale, burocratica, giudiziaria». In seguito fu proprio quel popolo di Piazza San Giovanni a recarsi ai gazebo e a scegliere per il nuovo soggetto politico il nome di «Popolo della Libertà» e non di «Partito della Libertà», mostrando così di preferire alle vecchie e ingombranti strutture novecentesche un movimento agile, votato al governo del paese e alla soluzione dei problemi concreti dei cittadini.


Secondo. «La nostra gente ha voluto che il Popolo della Libertà fosse guidato da un leader quale espressione di grande unità politica e di democrazia diretta». Dunque, oltre ad essere un movimento politico e non un partito nel senso comune del termine, ed oltre ad essere nato dal basso, il Pdl ha come sua caratteristica essenziale quella della leadership carismatica, legittimata dal rapporto diretto col popolo prima ancora che dalle strutture interne di partito. Mentre durante la Prima Repubblica si pensava che la mediazione tra governo e cittadini dovesse essere affidata esclusivamente ai partiti (al punto che Pietro Scoppola usò la felice definizione di «Repubblica dei partiti»), con la Seconda, figlia della «discesa in campo» di Berlusconi, questa mediazione tende a scomparire, lasciando il posto a leader capaci di rappresentare in se stessi un progetto politico che prende forma non da enunciazioni ideologiche di partiti-chiesa, bensì da agende concrete dettate dagli stessi cittadini, anche con gli strumenti della moderna comunicazione immediata, come internet.


Terzo. Da qui prende le mosse la lotta di Berlusconi contro le correnti e contro il ritorno a vecchie liturgie autoreferenziali che furono una delle cause della disgregazione del sistema partitico della Prima Repubblica. Proprio perché la leadership carismatica è oggi l'elemento che più di ogni altro è in grado di garantire l'unità di un movimento politico e il rapporto diretto con gli elettori, non si può pensare di agire come se tale leadership non ci fosse, o come se essa fosse il frutto di una contrattazione tra diverse «anime» e non, invece, l'espressione di una chiara volontà popolare confermata dai cittadini in ogni tornata elettorale. Insomma, chi nel Pdl pensa di poter affrontare le sfide del presente - in primis quella di governare l'Italia in tempi difficili come l'attuale - con uno sguardo autoreferenziale e tutto rivolto al passato, rischia di rendere incerto il futuro del movimento e, in ultima analisi, dello stesso paese. Per questo - conclude Berlusconi - «incrinare l'unità sarebbe un errore imperdonabile. E' una prospettiva a cui mi opporrò con tutte le forze, sicuro di interpretare la volontà della nostra gente».


Gianteo Bordero

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