giovedì 14 agosto 2008

I TRIONFI DELL'ITALIA NORMALE

da Ragionpolitica.it del 13 agosto 2008

E' un bel messaggio, e pieno di speranza, quello che gli atleti italiani trasmettono al paese dalla lontana Pechino. Gli ori olimpici ci dicono, in un periodo di vacche magre e di difficoltà economiche, che esiste una strada per rialzarsi; che non bisogna mai arrendersi; che la via della vittoria assomiglia tanto a un sentiero di montagna: il prezzo della meta si chiama fatica, sacrificio, sudore. I volti, le parole e i gesti dei nostri campioni che trionfano e salgono sul gradino più alto del podio non sono quelli dello sport inquinato e spesso sfigurato dalla sovraesposizione mediatica, dal gossip che inghiotte tutto e tutti, dalla mondanità che trasforma un atleta in un fenomeno da baraccone. Sono invece le facce, le espressioni e i movimenti di chi sa quanto è costato il successo in termini di educazione, disciplina, autocontrollo. Altro che i festini notturni, più o meno hard, di calciatori tanto venerati quanto bolliti!

Insomma, a Beijing 2008 vince l'Italia normale. L'Italia dei normali. Degli sconosciuti il cui cognome ci suona nuovo e strano: Tagliariol, Quintavalle, Pellielo, D'Aniello, Granbassi, Guderzo. Alzi la mano chi, al di là degli addetti ai lavori, ne conosceva il nome e le gesta prima dell'altro ieri. Eppure sono loro che tengono in piedi l'onore dell'Italia di fronte al mondo intero, loro che ci proiettano ai primi posti del medagliere olimpico, loro che fanno sventolare il tricolore più in alto delle altre bandiere nazionali. I normali nella gloria, dunque. E i vip nella polvere. Uno su tutti: Aldo Montano, un tempo schermidore sopraffino ed oggi niente più che uomo-copertina da Novella 2000, Chi et similia. Icona di che cosa significhi, letteralmente, adagiarsi sugli allori e vivere di rendita.

Invece, come dicevamo all'inizio, i vincitori dell'oro lanciano dalla Cina un invito inequivocabilmente chiaro: per competere a testa alta con gli avversari, per arrivare nelle prime posizioni, per stupire positivamente se stessi e gli altri non vi è altra strada che quella del sacrificio e del coraggio, della fatica e dell'entusiasmo, del sudore e della passione. Cioè dei valori e dei principi più genuini, più sani, se vogliamo più tradizionali su cui l'umanità da sempre si è basata per costruire le grandi storie, le grandi epopee, le grandi civiltà. E oggi più che mai il nostro paese ha bisogno di vedere, di sentire, di capire che l'unica possibilità di rilancio risiede proprio nel riscoprire questi valori e di questi principi, nel metterli a fondamento concreto del vivere comune, pietre angolari dell'edificio sociale e civile italiano.

I successi degli azzurri a Pechino, insomma, riportano in auge quella virtù così spesso disprezzata e rifiutata che va sotto il nome di umiltà. Umiltà non nel senso deteriore e deteriorato del termine, quello che la fa quasi coincidere con la miseria o la pochezza, ma in quello etimologico, che la lega al vocabolo latino humus. Cioè alla terra e al lavoro necessario per farla fruttificare. E' di questa umiltà che l'Italia ha bisogno: di uno sforzo individuale e comune per far emergere, dal profondo del paese, quell'energia, quella creatività e quel gusto di essere popolo e nazione che possono riportarci in cima al mondo. Come in cima al mondo ci stanno portando i nostri atleti impegnati a Pechino. Gente normale e gente umile. Perché, come diceva Chesterton: «E' l'uomo umile che fa le grandi cose. E' l'uomo umile che fa le cose ardite».


Gianteo Bordero

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