lunedì 17 gennaio 2011

E' L'USO POLITICO DELLA GIUSTIZIA LA VERA ANOMALIA ITALIANA

da Ragionpolitica.it del 17 gennaio 2011

L'uso politico della giustizia è un cancro che mina alla radice la tenuta del nostro sistema democratico, poiché altera in maniera sostanziale il principio della sovranità popolare, costituzionalmente cristallizzato nell'articolo 1 della Carta fondamentale. Quello che sta accadendo in questi giorni, con la nuova offensiva dei pm milanesi nei confronti del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è l'ennesimo capitolo di una storia che si trascina ormai da quasi vent'anni, e che ha visto settori della magistratura proporsi sulla scena come i detentori ultimi del potere politico e delle stesse sorti del Paese, oltrepassando i confini delle prerogative che la Costituzione e le leggi assegnano al potere giudiziario. Ciò è stato possibile, a partire dal 1992-93, non soltanto a causa della consunzione del sistema sul quale si reggeva la Prima Repubblica, ma anche e soprattutto grazie alla carica ideologica che muoveva quella parte di giudici e pm che si riconosceva nella corrente di Magistratura Democratica, nata negli anni Sessanta del secolo scorso col preciso intento di travasare nell'amministrazione della giustizia le parole d'ordine della lotta di classe e della distruzione dello Stato borghese.


In questo senso, la «colpa» imperdonabile di Silvio Berlusconi è stata quella di dare voce ed espressione politica alla parte maggioritaria dell'elettorato italiano che si era riconosciuta per decenni nei partiti democratici e occidentali poi cancellati dalle inchieste di Mani Pulite, «scendendo in campo» proprio nel momento in cui la strada della conquista del potere sembrava aperta per gli eredi del comunismo, ai quali i membri di Magistratura Democratica si sentivano - ed erano - oggettivamente contigui. Questo è il «peccato originale» dell'avventura politica dell'attuale presidente del Consiglio. Per questo egli è stato considerato, da sùbito, come un usurpatore. Per questo al Cavaliere andava - e va tuttora - necessariamente riservato lo stesso trattamento applicato ai dirigenti della Dc, del Psi e dei loro alleati ai tempi della Prima Repubblica. Per questo l'uomo di Arcore deve essere abbattuto, come si suol dire, con le buone o con le cattive.


E non deve neppure sorprendere che i partiti della sinistra, un tempo schierati strenuamente in difesa del «primato della politica», cavalchino oggi, così come hanno cavalcato nei primi anni Novanta, le inchieste dei pm d'assalto contro coloro che sono stati liberamente eletti dal popolo per guidare il Paese. La ragione di ciò sta nel fatto che, dal punto di vista politico, la sinistra in Italia è morta con la caduta del muro di Berlino e con il crollo del mito della rivoluzione. Per questo la conquista del potere per via giudiziaria è apparsa, sin dai tempi di Tangentopoli, come la provvidenziale scorciatoia per raggiungere con mezzi non democratici ciò che era - ed è ancora oggi - impossibile raggiungere con i normali strumenti della democrazia, cioè il consenso popolare ed il voto. Abbracciare dogmaticamente e acriticamente il giustizialismo, se da un lato è stata una scelta dettata dallo stato di necessità, dall'altro ha accelerato il processo di esaurimento politico della gauche nostrana, assegnandole un ruolo ancillare rispetto a quello svolto dai magistrati e trasformandola in un semplice megafono delle procure, del tutto privo di qualsiasi autonomia programmatica e culturale.


Questo è lo stato delle cose che si protrae da più di tre lustri nel nostro Paese. Questa è la vera anomalia italiana: non quella di un imprenditore di successo che diventa leader politico e raccoglie la maggioranza dei consensi necessaria per governare, bensì quella di certa magistratura politicizzata che tenta di esercitare un potere che in democrazia spetta soltanto al popolo e ai suoi rappresentanti, e quella di una sinistra meschina che rinuncia alle sue prerogative e abdica al suo compito politico nella convinzione e nella speranza che possa essere una sentenza, o quanto meno la gogna mediatica alimentata dalle inchieste-spettacolo, a trasformarla come per magia da forza residuale in forza di governo. E' un disegno che da diciassette anni continua ad essere vanificato dalle vittorie di Berlusconi, ma che, come vediamo in questi giorni, è più vivo che mai. E' chiaro che in ballo non c'è soltanto il destino politico di un uomo, ma anche e soprattutto, come dicevamo, la qualità della nostra democrazia: per questo la capacità di resistenza del Cavaliere continua ancora oggi ad essere la migliore garanzia contro la riduzione a mero flatus vocis del primato della volontà popolare.


Gianteo Bordero

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