giovedì 18 dicembre 2003

Il Papa della Tradizione e della libertà

di Gianteo Bordero - pubblicato su "Liguria, Italia, Europa" di Novembre 2003

I venticinque anni di pontificato di Giovanni Paolo II rappresentano un fatto epocale: non solo perché Karol Wojtyla ha tagliato il traguardo di uno dei Papati più lunghi che la storia ricordi, ma soprattutto perché, dopo gli incerti anni ’70 – gli anni del post Concilio – questo Papa ha segnato un evidente ritorno della Chiesa Cattolica nell’alveo della tradizione. Ribadendo, anche attraverso i suoi viaggi, il primato papale come “proprium” del cattolicesimo, Giovanni Paolo II ha riunito uomini e popoli attorno alla sua figura di vicario di Cristo in terra, rinnovando quella sorta di “globalizzazione” spirituale che solo il Cristianesimo, sin dai primi secoli dopo Gesù, è stato capace di produrre. Se è vero, come dice un verso di Montale, che “un imprevisto è la sola speranza”, allora Karol Wojtyla è stato ed è il lieto imprevisto della vicenda cattolica di fine XX secolo.

Ma non solo: Giovanni Paolo II è anche il Papa che, partendo dalla considerazione della sua storia personale, ha contribuito in maniera significativa al crollo del comunismo. Non è stato casuale, così, che la prima visita di Wojtyla nella sua amata terra, la Polonia (1979), sia stata all’origine di quel movimento di popolo che trovò nel Papa il suo punto di riferimento ideale, e in Solidarnosc il suo strumento di battaglia sindacale, civile e culturale. Questi due fattori – il Papato polacco di Wojtyla e il sindacato guidato da Lech Walesa – avrebbero portato, infine, al crollo del regime comunista polacco.

Il caso della Polonia è solo un esempio paradigmatico dell’azione che Giovanni Paolo II ha svolto, al livello pastorale come a quello diplomatico e, in senso lato, politico. Il principio cardine che questo Papa ha sin dall’inizio adottato (si pensi alla sua prima visita in Messico), è quello della promozione integrale della persona, e quindi, sul piano sociale, quello della sua libertà: la libertà, ama ripetere Wojtyla, è la condizione irrinunciabile affinché possa esservi reale promozione della persona, proficuo sviluppo sociale ed economico, più diffuso benessere e, infine, autentica pace. La libertà del singolo, secondo Giovanni Paolo II, è pure all’origine della libertà dei popoli, e su questo egli ha molto insistito, dando nuovo vigore e incoraggiando, durante i suoi viaggi, il riscatto dei popoli oppressi dai regimi totalitari apportatori di miseria, violenze e indicibili sofferenze.

Ma non si possono comprendere queste azioni del Papa “venuto dall’Est” se non risalendo, oltre che alla sua personale esperienza, alla sua instancabile passione per l’uomo e per la sua felicità; passione che non gli proviene da qualche strana teoria economica, filosofica e politica: essa è invece l’esito del suo vero, grande amore, quello per Cristo (di cui egli è vicario in terra) e per la Sua Chiesa, che egli ha guidato e sta guidando con rotta ferma e sicura. E questo è tanto più evidente oggi, che le sofferenze fisiche fanno della debolezza dell’uomo Wojtyla il segno paradossale della forza dell’annuncio cristiano.



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