mercoledì 15 ottobre 2003

L’alternativa che non c’è

15 ottobre 2003

Com’era prevedibile, alla fine si è giunti anche ad una paventata quanto improbabile ipotesi di crisi del governo Berlusconi. Ad annunciarlo è stato, proprio in questi giorni, lo stato maggiore della Lega Nord, col capogruppo Cè e col coordinatore Calderoli. Essi hanno così reagito alla forte accelerazione che il vice-presidente del Consiglio, Gianfranco Fini, ha impresso alla sua proposta di legge per concedere il diritto di voto amministrativo agli immigrati regolari, residenti da almeno sei anni nel nostro paese. Da quello che emerge in queste ore, inoltre, sembra che, nel testo che Alleanza Nazionale si accinge a sottoporre al Parlamento, sia contenuta anche l’idea di concedere agli immigrati non solo l’elettorato attivo, ma anche quello passivo.



E’ significativo, politicamente, il fatto che questa tanto discussa legge abbia rinsaldato e reso ancor più evidente quella sorta di “patto d’acciaio” tra Alleanza Nazionale e i centristi di Casini, Follini e Buttiglione. E’ significativo poiché, tra le molte cose che fanno parte del contratto elettorale tra la Casa delle libertà e gli italiani non vi è cenno a proposte di questo tipo. E, tra le tante proposte possibili, quella in questione è forse l’unica – così come essa è stata formulata – a poter trovare un ampio consenso anche a sinistra. Non è casuale che, in queste ore, il gotha ulivista non perda occasione per far sapere all’altra sponda la sua disponibilità a votare e sostenere una legge sul diritto di voto agli immigrati così come è emersa dalle dichiarazioni di Gianfranco Fini.



E’ però chiaro che, allo stato attuale delle cose, una legge votata da An, Udc, Margherita, Ds e cespugli vari significherebbe di fatto (e per la gravità della materia in questione) una crisi della maggioranza e il profilarsi di una crisi di governo ora quanto mai inopportuna, non solo per il semestre di presidenza europeo a guida italiana, ma anche per le molte cose messe in cantiere dal governo Berlusconi, prima tra tutte la riforma delle pensioni. Alleanza Nazionale, inoltre, dovrebbe essere ben consapevole, facendo memoria del recente passato, che le sue più grosse debacle elettorali e di consenso sono giunte proprio nei momenti di una sua più marcata apertura al centrismo spinto quando non alla sinistra (come nel caso del famoso patto dell’Elefantino con Mario Segni, in occasione delle scorse elezioni europee).



E’ dunque ragionevole pensare che, in realtà, An e Udc non vogliano nell’immediato una crisi di governo che nuocerebbe innanzitutto a loro, e che tentino, in qualche modo, di avere quel peso politico che essi hanno visto insidiato dall’affermazione dell’asse Tremonti-Bossi nella vicenda legata alla riforma pensionistica (come in altre recenti vicende). Inoltre, alcuni episodi come quello dei franchi tiratori che hanno votato qualche emendamento della sinistra alla legge Gasparri, sono da leggersi come esito dell’animato dibattito che in questi mesi si sta svolgendo internamente al partito di Fini, e che vede una tensione - mai conosciuta da An così intensamente – tra l’anima della destra sociale di Storace e la destra di governo del vice-presidente del Consiglio.



In tutto questo, hanno buon gioco i centristi ad offrirsi come sponda ai malumori di Alleanza Nazionale nei confronti della Lega di Umberto Bossi: è dal 1996 che Rocco Buttiglione frequenta i congressi e i convegni di An auspicandone l’accentramento verso posizioni di tipo popolare europeo. Ora che il sogno dell’ex-segretario del PPI sembra avverarsi (anche se, a dire il vero, la proposta di legge sul voto agli immigrati assomiglia molto più ad una legge di stampo socialdemocratico), all’Udc non resta che prendere la palla al balzo per ottenere quel peso politico che da sola non avrebbe mai potuto avere.



Ad ogni modo, rimane vero quello che il presidente del Consiglio ha sostenuto alcuni giorni fa, quando ha detto che l’unica alternativa a questa maggioranza sono le elezioni. Perché, nelle cose, non si dà alternativa politica alla Casa delle libertà e al suo leader, Silvio Berlusconi. C’è chi dice, in questi giorni, che Gianfranco Fini stia già preparando la successione a Berlusconi; se questo fosse vero, avremmo il caso singolare (ma non troppo) di un aspirante premier che viene da destra, sostenuto dal centro sinistra e abbandonato infine dal suo stesso partito: un’immagine di premier da fantapolitica che, ci auguriamo, rimanga lontana dalla testa e dal cuore di Fini, proprio nel momento in cui sarebbe opportuna la fermezza delle scelte e delle proposte. A chiederlo, ne siamo sicuri, sono in primis quegli elettori di An che hanno avuto la tentazione, alcuni giorni or sono, di lasciare il partito e passare, seppur con rammarico, ad altre componenti della Cdl.



Sarebbe infine politicamente suicida “stracciare” il contratto con gli italiani nel nome di uno 0,5% di voti in più, proprio nel momento in cui l’Italia, grazie al suo presidente del Consiglio, vede rinsaldarsi il suo prestigio internazionale e il suo rinnovato ruolo di protagonista sulla scena europea e mondiale. Non succedeva dai tempi di Alcide de Gasperi, e di fuoriclasse della politica, come si sa, ne nasce uno ogni cinquant’anni.

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